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Il paradosso di Paragone

Claudio Cerasa

Perché è una buona notizia se il partito del complottismo universale dà un calcio nel sedere al complottista in chief

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L’assai discussa espulsione di Gianluigi Paragone dal Movimento 5 stelle è stata descritta negli ultimi giorni utilizzando una chiave di lettura prettamente politica, utile a mettere in risalto le continue, quotidiane e per certi aspetti goduriose convulsioni di quello che resta il partito più importante all’interno di questo Parlamento.

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L’assai discussa espulsione di Gianluigi Paragone dal Movimento 5 stelle è stata descritta negli ultimi giorni utilizzando una chiave di lettura prettamente politica, utile a mettere in risalto le continue, quotidiane e per certi aspetti goduriose convulsioni di quello che resta il partito più importante all’interno di questo Parlamento.

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Nell’espulsione di Gianluigi Paragone dal M5s vi è però un aspetto ulteriore rispetto a quello politico e, per quanto l’espressione possa cozzare con una figura come quella di Paragone, l’aspetto ulteriore da approfondire riguarda un tema che ha più che fare con la nostra cultura che con la nostra politica. Gianluigi Paragone è certamente un personaggio migliore rispetto alla maschera che ha utilizzato prima da giornalista e poi da senatore. Ma quando un personaggio pubblico decide di indossare una maschera ciò che conta è ciò che sceglie di essere, non ciò che è davvero, e ciò che in questi anni Paragone ha scelto di essere coincide con una sorta di algoritmo universale e trasversale del rancore complottista. E in questo senso, la sua espulsione dal Movimento 5 stelle ha una sua importanza proprio per questa ragione: perché persino il partito forse più complottista d’Europa, quello delle scie chimiche, quello delle sirene malvagie, quello della finta scoperta sulla luna, quello dei vaccini pericolosi, si è reso conto che per provare a governare non ci si può permettere di avere tra le scatole un imprenditore del cospirazionismo.

 

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In uno splendido libro pubblicato qualche mese fa per minimum fax, Raffaele Alberto Ventura, nostro collaboratore e già autore di un bel saggio di cui avete già letto sulle nostre pagine intitolato “Teoria della classe disagiata” (minimum fax 2017), è tornato sul tema del populismo con un volume questa volta intitolato “La guerra di tutti”. Ventura sostiene che il collante vero di tutte le forme di populismo anti sistema intercettate negli ultimi anni in giro per il mondo sia non una specifica dottrina politica ma una precisa prassi culturale legata alla declinazione sistematica del complotto e alla diffusione generalizzata del dubbio. E sotto questa prospettiva, il metodo Paragone, fin dai tempi della sua Gabbia, è stato tutto questo. E' stato un continuo dubbio instillato sul sistema che ci governa, sulle verità della scienza, sulla casta dei competenti, sui burattinai dell’Europa, sugli strozzini delle banche, sul signoraggio della finanza, sulla casta dei massoni, sui ladri del globalismo, sulle verità non raccontate dai media, sull’incapacità di conoscere i veri segreti del potere.

 

In base a questo principio, come recita il manuale sulla democrazia degli incompetenti firmato da Tom Nichols, l’opinione di un esperto riguardante la sua area di competenza vale quanto quella di un comune cittadino, ogni cittadino è e deve essere uguale a un altro nel suo esprimere un indirizzo politico e tutti i cittadini capaci di fornire un’opinione valida su un certo argomento devono essere considerati non meno esperti degli esperti, sia che si tratti di discutere di una macchina da riparare sia che si tratti di discutere di una campagna di vaccinazioni da istituire. “Ci fu un tempo felice – scrive Ventura – in cui con le cospirazioni si poteva giocare e scherzare poi successo una cosa curiosa già intercettata da Umberto Eco nel ‘Pendolo di Foucault’, ovvero sia che a quel gioco varie persone hanno iniziato a crederci. Ed entrando nei vortici delle teorie alternative e delle spiegazioni non ufficiali ci si trova a fare i conti contemporaneamente con una inesauribile proliferazione di possibilità. E se ammettiamo che i media ci nascondono la verità sugli extraterrestri allora possiamo iniziare a dubitare di tutto il resto: dai vaccini all’Olocausto fino alla vera natura di un governo”. 

 

Il populismo complottista trasforma la politica in un’azione finalizzata a mettere i portavoce del popolo dalla parte del popolo contro la casta dei competenti e la sua finalità principale è quella di alimentare la democrazia delle bolle e di offrire al popolo risposte semplici a problemi complessi attraverso un uso sapiente del capro espiatorio che permette al politico o al tribuno di turno di avere sempre una scusa per avere un alibi giusto tale da permettergli di non andare mai alla vera radice dei guai del nostro paese.

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In questo senso il modello Paragone – che non poteva che ricorrere alla via giudiziaria per far valere le proprie dottrine politiche, perché non c’è complottismo che non cerchi di dare un bollino giudiziario ai propri teoremi – è come un perfetto algoritmo del cospirazionismo che nel tempo si è andato a saldare con un altro schema tipico del complottismo: quello di trasformare la lotta contro il sistema in una versione semplificata di una lotta contro un nuovo totalitarismo. L’Europa diventa così come il nuovo Olocausto da cui fuggire. Gli esperti diventano così come i nazisti da cui fuggire. Le banche diventano così come i fascisti che vogliono limitare le nostre libertà. I media diventano così servi di un regime che vuole imbavagliare i cittadini. Il complottismo cospirazionista si alimenta di paranoie, di bufale, di post verità. Ripulire i pozzi che i populisti di ogni colore – non è un caso che Paragone venga dalla Lega, dopo essere stato a lungo a La7 e sarebbe rilevante se il cospirazionismo oggi restasse politicamente senza casa – hanno avvelenato per anni non sarà facile ma che uno dei principali avvelenatori di pozzi scelga di dare un calcio nel sedere a uno degli avvelenatori di pozzi è una piccola boccata d’ossigeno per una democrazia abituata ormai da troppo tempo a osservare con indifferenza la proliferazione di una democrazia fondata sulle bufale. Chesterton, ricorda Ventura, diceva quando la gente smette di credere in Dio non è vero che non crede più a niente perché è lì che comincia a credere a tutto. Lo stesso vale per il cospirazionismo: quando la gente non crede più ai valori non negoziabili di una democrazia liberale non è vero che non crede più a niente perché è lì che purtroppo comincia a credere a tutto.

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