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Sovranisti nello spazio

Giulia Pompili

Un cosmonauta e un’astronauta, entrambi italiani, sono il simbolo di una guerra per il predominio dei cieli

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Roma. C’è uno scontro molto più profondo di quanto possa apparire dietro alle indiscrezioni di questi giorni sul congedo dall’Areonautica dell’astronauta Samantha Cristoforetti e il destino del cosmonauta Walter Villadei. Uno scontro politico, quasi ideologico, che al di là delle beghe tutte italiane mostra, in piccolo, una sfida ben più grande sulla cooperazione strategica del prossimo decennio, cioè quella spaziale. Con America e Cina che si fronteggiano in una corsa tecnologica senza precedenti, e la Russia e l’India a rincorrerle, l’Europa è l’unico luogo che garantisca una certa indipendenza. Come per il 5G, non si tratta soltanto di una questione di mercato: sono scelte politiche quelle che i singoli paesi faranno nei prossimi anni, e quelle scelte determineranno anche le collaborazioni internazionali del futuro. Per questo vanno valutate con cautela. Con l’accelerazione sull’esplorazione spaziale della Cina, chiesta già qualche anno fa dal presidente Xi Jinping, e la volontà del presidente Donald Trump di creare una Forza armata spaziale, è evidente che la speranza di uno spazio di cooperazione internazionale per la ricerca, nata dopo la Guerra fredda con la messa in orbita della Stazione spaziale internazionale, almeno per i leader politici delle prime due economie del mondo è finita. E con questo bisogna fare i conti. Ma bisogna fare i conti anche con il monopolio russo sulle missioni umane e il “biglietto” che ogni paese è costretto a pagare a Mosca – perché sin dalla fine del programma Space Shuttle americano, se si vuole spedire una persona in quella cittadella di cooperazione che è la Stazione spaziale, bisogna passare necessariamente dal Cosmodromo di Bajkonur russo.

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Roma. C’è uno scontro molto più profondo di quanto possa apparire dietro alle indiscrezioni di questi giorni sul congedo dall’Areonautica dell’astronauta Samantha Cristoforetti e il destino del cosmonauta Walter Villadei. Uno scontro politico, quasi ideologico, che al di là delle beghe tutte italiane mostra, in piccolo, una sfida ben più grande sulla cooperazione strategica del prossimo decennio, cioè quella spaziale. Con America e Cina che si fronteggiano in una corsa tecnologica senza precedenti, e la Russia e l’India a rincorrerle, l’Europa è l’unico luogo che garantisca una certa indipendenza. Come per il 5G, non si tratta soltanto di una questione di mercato: sono scelte politiche quelle che i singoli paesi faranno nei prossimi anni, e quelle scelte determineranno anche le collaborazioni internazionali del futuro. Per questo vanno valutate con cautela. Con l’accelerazione sull’esplorazione spaziale della Cina, chiesta già qualche anno fa dal presidente Xi Jinping, e la volontà del presidente Donald Trump di creare una Forza armata spaziale, è evidente che la speranza di uno spazio di cooperazione internazionale per la ricerca, nata dopo la Guerra fredda con la messa in orbita della Stazione spaziale internazionale, almeno per i leader politici delle prime due economie del mondo è finita. E con questo bisogna fare i conti. Ma bisogna fare i conti anche con il monopolio russo sulle missioni umane e il “biglietto” che ogni paese è costretto a pagare a Mosca – perché sin dalla fine del programma Space Shuttle americano, se si vuole spedire una persona in quella cittadella di cooperazione che è la Stazione spaziale, bisogna passare necessariamente dal Cosmodromo di Bajkonur russo.

 

All’ultimo Consiglio ministeriale dell’Agenzia spaziale europea, a fine novembre, un entusiasta sottosegretario pentastellato alla presidenza del Consiglio con deleghe allo Spazio, Riccardo Fraccaro, aveva annunciato che la quota dell’Italia alle politiche spaziali europee per il prossimo triennio aumentava fino a 2,3 miliardi di euro. Il contributo più alto di sempre. Per questo l’Italia aveva fatto capire ai colleghi europei di volere voce in capitolo anche su una questione delicata: i nomi italiani da proporre per la prossima missione sulla Stazione spaziale internazionale, prevista per il 2022. E qui, ha scritto oggi su Repubblica Luca Fraioli, c’è uno scontro ereditato dal governo precedente, quando alla guida delle politiche spaziali c’era il leghista Giancarlo Giorgetti. Da una parte, durante il governo gialloverde, la Lega rimuoveva dall’Agenzia spaziale italiana il presidente Roberto Battiston, considerato troppo filo-cinese, dall’altra l’ufficio di presidenza del Consiglio, cioè Giuseppe Conte, rafforzava “la cooperazione astronautica anche attraverso ulteriori opportunità con nuovi partner, quali la Federazione Russa e la Cina”. Non è ancora chiaro se la collaborazione con Pechino sia davvero saltata – l’ex ministro dell’Istruzione Fioramonti, che aveva annunciato lo stop, non aveva mai confermato né smentito al Foglio la chiusura con la Cina – di sicuro l’Italia continua a puntare su amicizie controverse, che non piacciono agli alleati tradizionali. E il motivo delle “dimissioni” dall’Areonautica della Cristoforetti sarebbe legato proprio a questo: la Difesa avrebbe fatto pressioni per far salire sulla Stazione il cosmonauta (il nome russo degli astronauti) Villadei, che è stato formato in Russia, allo Yuri Gagarin Cosmonaut Training Center. A differenza della Cristoforetti, astronauta dell’Agenzia spaziale europea con alle spalle la più lunga permanenza di un astronauta europeo sulla Stazione spaziale internazionale. I due sono modelli opposti: il primo rappresenta, agli occhi di molti, il sovranismo spaziale. La Cristoforetti – che pure ha fatto l’addestramento standard in Russia e perfino un periodo in Cina – è il simbolo di apertura e dialogo con al centro l’Europa. La postura internazionale dell’Italia, e la coerenza nella politica estera, si mostra anche nello Spazio.

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