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Paragone è il M5s al suo meglio (dissoluzione compresa)

David Allegranti

Se c’è un parlamentare che in questi anni ha rappresentato più di altri il Movimento, e che continua a rappresentarlo nonostante l’apparente fine del rutto collettivo grillino, è proprio l’ex conduttore della Gabbia

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Roma. I Cinque stelle procedono verso un’ordinata decomposizione, ci sono ministri che si dimettono (Lorenzo Fioramonti dal Miur), senatori che vengono cacciati (Gianluigi Paragone) e consiglieri comunali che passano al gruppo misto (Aldo Curatella a Torino, dove adesso la maggioranza in consiglio comunale si regge per due soli voti, compreso quello della sindaca Chiara Appendino). Per non parlare di altri tre senatori passati alla Lega il mese scorso: Ugo Grassi, Francesco Urraro, Stefano Lucidi. Laddove si dimostra che, per i populisti, il potere logora chi ce l’ha. La vicenda di Paragone è più significativa. Se c’è un parlamentare che in questi anni ha rappresentato più di altri il M5s, e che continua a rappresentarlo nonostante l’apparente fine del rutto collettivo grillino, è proprio l’ex conduttore della Gabbia, che aveva anticipato il populismo di governo in tv, nelle sue trasmissioni anti-casta. Contro gli “sprechi della politica”, “l’Europa delle banche e della tecnocrazia”, per il taglio del numero dei parlamentari. Non c’è tema caro ai Cinque stelle che Paragone non abbia accarezzato per anni. Dalla casta alle banche.

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Roma. I Cinque stelle procedono verso un’ordinata decomposizione, ci sono ministri che si dimettono (Lorenzo Fioramonti dal Miur), senatori che vengono cacciati (Gianluigi Paragone) e consiglieri comunali che passano al gruppo misto (Aldo Curatella a Torino, dove adesso la maggioranza in consiglio comunale si regge per due soli voti, compreso quello della sindaca Chiara Appendino). Per non parlare di altri tre senatori passati alla Lega il mese scorso: Ugo Grassi, Francesco Urraro, Stefano Lucidi. Laddove si dimostra che, per i populisti, il potere logora chi ce l’ha. La vicenda di Paragone è più significativa. Se c’è un parlamentare che in questi anni ha rappresentato più di altri il M5s, e che continua a rappresentarlo nonostante l’apparente fine del rutto collettivo grillino, è proprio l’ex conduttore della Gabbia, che aveva anticipato il populismo di governo in tv, nelle sue trasmissioni anti-casta. Contro gli “sprechi della politica”, “l’Europa delle banche e della tecnocrazia”, per il taglio del numero dei parlamentari. Non c’è tema caro ai Cinque stelle che Paragone non abbia accarezzato per anni. Dalla casta alle banche.

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Neanche un anno fa si iniziava a parlare di Paragone come presidente della nuova commissione Banche, pensata dopo i brillanti successi, si fa per dire, della precedente. “Li faremo cantare”, diceva Luigi Di Maio riferendosi ai vertici di Banca d’Italia e di Consob. Un’espressione che rimandava, scrivevamo sul Foglio nel febbraio scorso, ad altri contesti tutt’altro che canori; commissari, ispettori e poliziotti che interrogano imputati già considerati colpevoli, i quali devono soltanto rivelare nomi di complici e mandanti. E Di Maio aveva individuato l’uomo giusto per torchiarli, quei felloni delle banche: Paragone, appunto, ex direttore della Padania, vicedirettore di Raiuno e poi di Raidue in quota Lega, ex leghista, poi senatore del M5s. 

 

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Adesso Paragone è fuori dal M5s, parla di sé in terza persona in un video su Facebook e si accorge improvvisamente di quanto sia democratico il suo ex partito (problema suo), che lo espelle perché ha votato in difformità dal gruppo sulla legge di bilancio: “Paragone deve essere buttato fuori perché è uno strano Savonarola, uno strano predicatore che ci costringe a guardarci allo specchio. Bene, questo Paragone si appellerà all’ingiustizia arbitraria dei probiviri del nulla, guidati da qualcun altro che è il nulla, e si arroga il diritto di espellermi. Ma io farò ricorso e se mi gira mi rivolgerò anche alla giustizia ordinaria per far capire l’arbitrarietà delle regole”. Ad Alessandro Di Battista, che nella fattoria degli animali della politica italiana è più grillino tra i grillini, viene gioco facile ricordare, e con gusto, in un commento su Facebook, che “Gianluigi è infinitamente più grillino di tanti che si professano tali. Non c’è mai stata una volta che non fossi d’accordo con lui. Vi esorto a leggere quel che dice e a trovare differenze con quel che dicevo io nell’ultima campagna elettorale che ho fatto. Quella da non candidato, quella del 33 per cento”.

 

Ed è tutto un misurarsi i quarti di nobiltà casaleggiana, nel M5s, tutto un farsi i conti in tasca su chi ha restituito di più e chi di meno (“Quando mi sono candidata con il M5s, come tutti i colleghi, ho fatto una promessa, ho sottoscritto delle regole e tra queste c’è quella sulle restituzioni”, s’affretta a precisare Laura Castelli apponendo la cifra dei quattrini), insomma è tutto un dividersi in paragoniani e anti-paragoniani, nel M5s. “Certamente stiamo operando scelte non sempre lucide, non sempre felici. Certamente non siamo quelli del 4 marzo 2018, esattamente come non siamo più quelli del 4 ottobre 2009 o del 25 febbraio 2013”, dice Nicola Morra, presidente della commissione Antimafia, rivolto all’ex compagno di partito. “Ma se ci definisci il ‘nulla’, perché rimanevi nel ‘nulla’ prima di essere espulso?”. Tralasciamo adesso la discussione filosofica sul Nulla (rimandiamo il lettore a Martin Heidegger, che spiegò che “il nulla nulleggia”, e alla “Storia del nulla” di Sergio Givone pubblicata da Laterza) e rimaniamo a quella politica. Nel M5s stanno rimanendo quelli senza arte né parte; quelli che erano disoccupati nel 2013 e che hanno vinto la lotteria in questi anni di rutilante presa del potere da parte dei populisti di Palazzo. Ora che sono usciti dalla Gabbia, sono disposti a dire che tutto sommato la casta non è poi così tanto male?

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