Il fisioterapista del popolo

Claudio Cerasa

Niente scherzi con Nato, euro, Russia, porti, spread. Il primo discorso del BisConte non è il discorso dei sogni ma è un sogno per chi ha a cuore lo stato di necessità. La discontinuità è la sintesi al posto dello scambio. Elogio dei governi senza contratto

Il primo discorso di Giuseppe Conte da presidente del Consiglio bis può essere letto attraverso due lenti di ingrandimento diverse. La prima lente è quella che ci permette di mettere a fuoco la distanza che esiste tra quello che può essere il discorso dei sogni di ciascuno di noi e quello che è stato il discorso di Giuseppe Conte. La seconda lente è quella che ci permette invece di mettere a fuoco la distanza che esiste tra ciò che è stato compreso all’interno del ragionamento di Conte e ciò che invece dovrebbe prevedere lo stato di necessità. A voler usare la prima lente di ingrandimento, si potrebbe dire che il discorso del presidente del Consiglio è un discorso noioso, pigro, scontato, monotono e persino banale. A voler usare la seconda lente di ingrandimento, non si può non riconoscere che il discorso di Conte è stato invece giusto, onesto, corretto, persino coraggioso, da perfetto fisioterapista del popolo.

  

Il fisioterapista, come sapete, è un professionista specializzato nel dare a un paziente le indicazioni giuste per riabilitarsi e permettergli di tornare a muoversi in modo corretto una volta superato un trauma. Conte non passerà alla storia per essere un grande oratore ma potrebbe invece passare alla storia per aver capito in che modo rimettere in piedi un paese uscito – anche a causa del professor Conte ma anche grazie al professor Conte – da un trauma lungo quattordici mesi. Osservato dunque il discorso di ieri con questa lente di ingrandimento, si può dire che nel ragionamento di Conte c’è tutto quello che serve oggi per superare, a poco a poco, il trauma subìto dall’Italia nei mesi di governo gialloverde.

 

C’è l’idea di non fare più scherzi alla Nato (“il nostro asse”), c’è l’idea di non fare più scherzi sugli Stati Uniti (“il legame agli Stati Uniti è imprescindibile), c’è l’idea di non fare più stupidaggini con l’euro (niente minibot), c’è l’idea di non essere più identificati come il cavallo di Troia della Russia in Europa (citata tre volte un anno fa, con un abbraccio speciale alla “società civile russa”, citata solo una volta ieri, in una parentesi insieme con India e Cina), c’è l’idea di non fare più sciocchezze sullo spread (“la diminuzione della spesa per interessi pagati sul nostro debito pubblico non stenterei a definirla una vera e propria riforma strutturale”), c’è l’idea di costruire una manovra da non declamare sui balconi di Palazzo Chigi (“nel rispetto dei vincoli di equilibrio del quadro di finanza pubblica”), c’è l’idea di voler spostare la gestione della politiche migratorie dalle invettive sui social (Conte ha nientemeno che invitato i suoi colleghi ministri a “un uso responsabile dei social network”) alle iniziative in Europa (il governo precedente ha fatto di tutto per non trovare accordi strutturali in Europa per redistribuire i richiedenti asilo, Conte ieri ha ribadito che intenzione dell’Italia su questo terreno è “non prescindere più da un’effettiva solidarietà tra gli stati membri dell’Unione europea”).

 

Intenzioni, progetti, programmi molto vasti, sui quali si potrebbe naturalmente anche a lungo ironizzare (Conte ha promesso, nientemeno, che “un abbattimento del divario fra nord e sud del paese”), ma al centro della discontinuità da fisioterapista del popolo vi è un dettaglio solo apparentemente laterale sul quale vale la pena concentrarsi e che riguarda quello che è insieme l’essenza della discontinuità di questo governo: la presenza di una solida cornice europea (non più antieuropea) e l’assenza di un programma dettagliato (e non più prefissato in partenza). Conte, promettendo di lavorare affinché il suo governo sia nuovo anche “nella determinazione ad invertire gli indirizzi meno efficaci delle pregresse azioni”, ha detto ieri che “il programma non è una mera elencazione di proposte eterogenee che si sovrappongono l’una sull’altra” ed è questo forse il punto più interessante presente all’interno del disegno politico del BisConte.

 

Il Conte Uno è stato più che un avvocato del popolo un notaio dei populisti e più che un premier dedicato alla mediazione quello precedente è stato un premier dedicato allo scambio: tu, Lega, ottieni questo, e io M5s non dico nulla, e io M5s ottengo questo, e tu Lega non dici nulla. Le scommesse di Conte oggi – facilitate anche dal fatto di essere l’unico leader in un governo senza leadership – sono quelle di non alimentare battaglie identitarie all’interno del governo attraverso una politica dello scambio e di tentare in tutti i modi di governare spinto da uno stato di necessità che ha reso visibile quello che in molti per mesi hanno scelto di non vedere: c’è chi vuole governare con l’Europa, per cambiarla da dentro, e c’è chi vuole governare contro l’Europa, per distruggerla da dentro. Per una fortunata congiunzione astrale, perfettamente visibile osservando i sovranisti scesi in piazza ieri contro un Parlamento che non ha fatto altro che prendere atto dello sgambetto che si è fatto da solo il senatore semplice Matteo Salvini, nel giro di un mese l’Italia si è ritrovata a essere da laboratorio del nazionalismo a laboratorio dell’antinazionalismo. E se il fisioterapista del popolo riuscirà a portare a termine la fase di riabilitazione dell’Italia lo dovrà alla scelta più coraggiosa fatta finora: aver sostituito i “ma anche” del contratto di governo con un programma magnificamente incentrato non sul compromesso storico ma sullo stato di necessità. Il governo può finire male ma intanto meglio non poteva cominciare.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.