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Ed eccoci al bivio tra due governi che fanno ridere e il voto che fa piangere

Giuliano Ferrara

La via più semplice era un governo di minoranza dei Cinque stelle, con l’appoggio esterno o tecnico del Pd. Mattarella avrebbe dovuto favorire questo esito

Quando il Truce minacciò di prendersi il paese con i pieni poteri sembrò naturale che non gli fossero dati, l’uno e gli altri. Per decenza, e per senso della storia. Uno che in Parlamento ha il 17 per cento, e che vola nei sondaggi e alle Europee perché fa il bullo da un Viminale di spiaggia, dove esercita il doppio ruolo inaudito di caporione di partito e ministro della forza e non mette praticamente piede usandolo per intemerate e comizi, è meglio che vada all’opposizione a leccarsi le ferite che si autoinfligge con le sue losche provocazioni. Il voto subito, in questo caso mito per gli allocchi che non sanno che cosa sia un ribaltone, e cianciano di parola al popolo quando la formula sa di presa di potere di un uomo solo, mentre non dissero “al voto! al voto!” quando si trattava di ristabilire le regole del maggioritario, è un piegare la schiena al prepotente, peggio, è un cedimento all’ineluttabilità della prepotenza che una quasi certa maggioranza di italiani prenderebbe al volo come un segnale di rassicurazione e di servaggio, un plebiscito in circostanze emergenziali un anno e poco più dopo le elezioni nazionalpopuliste del 4 marzo 2018. Impedire tutto questo sembrava possibile imboccando la via più semplice: il Bisconte, un governo di minoranza di chi aveva preso il 32 per cento alle politiche appena svolte, con l’appoggio esterno o tecnico del principale partito di opposizione costituzionale e democratica. Mattarella avrebbe dovuto favorire questo esito, e non blaterare di urgenza dopo aver concesso tre mesi di trattative per il piccolo ribaltone del contratto (con il Truce che molla Berlusconi e sposa Giggino), accennando da uomo politicamente spento a finestre legislative o elettorali, o alla necessità di una maggioranza politica sicura e forte laddove questa non c’era nei fatti e nella decenza.

  

Niente. A forza di viltà o stupidità, in assenza di una seria comunità politica e civile, capace di memoria e di storia, ci troviamo al bivio tra due governi che fanno ridere (un esecutivo con ministri e ministresse grillozze e piddine, un nuovo governo rimpastato di Giggino con la Lega del Truce pentito) e una possibilità, il voto, che fa piangere. Siccome non bisogna ridere né piangere, ma capire, dice la saggezza di tutti i tempi, si dovrebbe tornare subito ai fondamentali. Burocrati e bibitari dovrebbero capire che la politica non è codicillo né aranciata. Alle elezioni appena svolte non ci fu un vincitore assoluto, perché i nazionalpopulisti erano divisi e si guardavano con gran corruccio, e il centrodestra non ebbe la maggioranza, ci fu solo un perdente, il Pd, e un partito di maggioranza relativa solida, i 5 stelle. L’Italia e l’Europa hanno pagato lo scotto di una coalizione minacciosa e burlesca al tempo stesso, che ora è esplosa sotto l’offensiva dell’uomo della Provvidenza o della Previdenza (quota 100, un fallimento). Chi aveva la maggioranza relativa si assume la responsabilità di andare avanti e garantire un governo, chi era rimasto in minoranza come secondo partito consente il male minore per evitare il peggiore, esercita la sua legittima influenza negoziando i suoi voti senza avidità di ministeri, una dieta politica e estetica. Bisconte, appunto. Ma sono cose semplici, sono le avventure limpide della politica parlamentare, che i non avventurieri dovrebbero fiancheggiare con intelligenza in attesa che si sgonfi la bolla demenziale della truceria Papeete. Magari con una riforma elettorale che metta fuori gioco, altro che rafforzamento dei collegi e taglio ad hoc dei parlamentari, la carica eversiva di un partito pigliatutto, le pulsioni autoritarie del caporione della Lega, un partito che fu di governo a Milano, a Venezia, a Torino (governo così così ma governo).

 

Nella politica com’è, non solo tra i nuovi venuti ribaldi, anche nell’aristocrazia corrotta e bolsa delle migliori menti commentatrici, la forza della semplicità e dell’energia per il paese non c’è o ancora non si vede. C’è la tendenza al grottesco, il rimpasto tra nemici contrattisti in attesa di nuova rottura plebiscitaria o il governo di Bibbiano, due cose ad alta gradazione alcolica. Peccato. Per fortuna inizia il campionato di serie A, ci saranno gli Us Open, buoni libri da leggere, musica da ascoltare, passeggiate da fare, lavoro da sbrigare, in un estenuante e avvilente clima postrepubblicano.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.