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Programma Billionaire, Briatore in campo

Annalisa Chirico

Cantieri aperti, riforma della giustizia, abolizione del reddito di cittadinanza, turismo come eccellenza del paese: tutte le idee del Trump italiano. Che potrebbe dire sì a una chiamata di Salvini. Vita professionale e privata: un’intervista

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Flavio Briatore, gli ingredienti ci sono tutti: soldi, lusso, belle donne, scorrettezza politica. Vi accomuna pure la conduzione di un reality, “The apprentice”. Lei è il Trump d’Italia? “Il paragone con il presidente degli Stati uniti mi onora, Donald ha un talento impareggiabile. Quando si è candidato alla Casa Bianca, aveva tutti contro, inclusi i suoi. Lo conosco dagli anni Novanta, penso di essere stato il primo a portarlo in Europa. Ricordo certe serate a Les Bains Douches a Parigi, e poi una volta nel suo ufficio newyorkese che parliamo di tutto, a un certo punto telefoniamo a Bernie Ecclestone, io ho mal di schiena e lui mi fa sedere sulla sua poltrona. La gente s’identifica in Donald piuttosto che nei politici che campano di chiacchiere. Nella vita gli è capitato di indovinare dei business e di sbagliarne altri, è caduto e si è risollevato. In America, se sbagli e recuperi, ti supportano; in Italia invece non ti danno più credito”.

 

Dica la verità: lei si prepara ad emulare Trump con una bella discesa in campo. “Il nome ce l’ho: Movimento del Fare. Non è più tempo di attendere: imprenditori, sindaci e professionisti che hanno realizzato qualcosa nella vita devono mettersi in gioco in prima persona. Per il bene del paese, per restituire un po’ di quello che hanno ricevuto. Gli incompetenti al governo sono stati buoni solo a dire no. Ha visto com’è ridotta Roma? Come si fa a rifiutare le Olimpiadi? E vogliamo parlare di Torino: il Piemonte ha le montagne più belle d’Italia e questo fenomeno di sindaco si è lasciata sfuggire i Giochi invernali. Roba da licenziarli in tronco”.

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Quali saranno i punti salienti del Programma Billionaire per le prossime elezioni? “Dobbiamo far ripartire l’economia, creare lavoro, attrarre investimenti. Fosse per me, partirebbero tutti i cantieri, tutte le opere sospese, dal Tav al ponte sullo Stretto. Eliminerei immediatamente il reddito di cittadinanza e darei agli imprenditori la possibilità di assumere giovani alle medesime condizioni. E’ urgente la riforma della giustizia perché l’incertezza della legge e i tempi lenti scoraggiano gli investitori. Se diamo fiducia ai capitali esteri, abbassiamo le tasse e tagliamo un sacco di norme inutili, il turismo diventa la vera eccellenza italiana. Il sud Italia ha tutte le carte per essere la Florida d’Europa, altroché”.

 

Chi vorrebbe nel futuro Movimento del Fare? “Gente che ha fatto, appunto. Che so io, Oscar Farinetti, che si è inventato Eataly, sarebbe uno da arruolare. Pure un imprenditore come Antonio Percassi o un sindaco come Dario Nardella, gente giusta”.

 

“Populista”, per lei, è una brutta parola? “Nient’affatto. Il populista dà voce al popolo. Mi colpisce la cosiddetta ‘intellighenzia’, anzi ‘scemenzia’, che si scandalizza perché qualcuno sta bene in mezzo alla gente normale”.

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Il segretario Pd Nicola Zingaretti non ha gradito l’esibizione del vicepremier Matteo Salvini a torso nudo al Papeete beach: lo ha accusato di essere un “giullare” che manca di rispetto all’inno di Mameli. “Che idiozia! Salvini è libero di stare in spiaggia come gli pare, Zingaretti s’interroghi piuttosto sul perché il leader leghista sia così benvoluto dalla gente. Salvini è uno normale, si comporta come la gente normale. L’inno poi non è proprietà di questo o di quello, l’inno è di ogni italiano, puoi cantarlo quando ti fai la barba, non devi mica chiedere il permesso a Zingaretti. Dico di più: andrebbe intonato nelle piazze perché l’attaccamento alla patria è una cosa bella”.

 

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Secondo lei, Zingaretti è mosso dall’invidia verso Salvini? “In Italia è un sentimento diffuso, mica come in America. Ho vissuto diciassette anni a New York: c’è un individualismo esasperato finalizzato al progresso personale ma chi fa strada viene guardato con rispetto e con spirito di emulazione. Zingaretti sembra un ragioniere sudato, di quelli che stanno in ufficio con il condizionatore guasto. Quelli del Pd non ne azzeccano una sul piano della comunicazione: dopo il passo indietro di Matteo1, insomma di Renzi, hanno eletto un segretario che somigliava a Gesù Cristo, un giovane nato vecchio, di cui mi sfugge il nome”.

 

Si riferisce a Maurizio Martina, promosso da Renzi ministro dell’Agricoltura. “Matteo ne ha promossi tanti che, un attimo dopo, gli hanno voltato le spalle. Nel Pd e in Forza Italia non ce n’è uno che buca”.

 

Pure Renzi è populista? “Lo è, a modo suo. Diciamo che è meno empatico di Matteo2, di Salvini, però resta uno dei più preparati, è un bravo comunicatore. Adesso fa bene a starsene un po’ fuori, ha solo quarant’anni e una vita davanti”.

 

Torniamo a Matteo2, come lo chiama lei. L’alleanza di governo è alla canna del gas. “In generale, io evito di lavorare in società perché sei più vincolato; quando lo faccio mi garantisco sempre la quota di maggioranza e, appena ho il sentore che le cose non vadano per il verso giusto, sciolgo la società. Mi pare che quella costituita da Matteo con il M5s con tanto di ‘contratto’ abbia esaurito la propria funzione: i due non vanno d’accordo su nulla. Gli italiani di chiacchiere ne hanno già sentite troppe. Matteo farebbe bene ad andare per la sua strada: la gente gli manifesta affetto nelle piazze perché si aspetta da lui gesti concreti per dare una scossa al paese con una squadra di gente preparata e capace”.

 

Non ho capito se lei predilige il populismo renziano o quello salviniano. “Il vicepremier è un populista più ruspante, casareccio. E poi io punto sulla gente che può incidere. Salvini è riuscito a trasformare la Lega, ridotta al 4 per cento, in un partito nazionale portandola alle percentuali di oggi: il suo talento politico è innegabile. E poi ha empatia con la gente, ne percepisce gli umori, le tendenze… non è da tutti”.

 

Se il capo leghista le offrisse un incarico di governo, magari nel turismo, lei lo accetterebbe? “Potrei dirgli di sì, a patto di esser messo nelle condizioni di fare le cose. Il tempo è prezioso, specie alla mia età. Se ne sottraggo un po’ a mio figlio e alla mia famiglia, non voglio sprecare le giornate in commissioni inutili a sentire idioti che non hanno mai viaggiato in vita loro”.

 

Concretezza first. “Siamo il paese più bello del mondo con 7 mila chilometri di costa, ci meritiamo un turismo di valore che vada oltre ciabatte e sacchi a pelo. Chi va in vacanza chiede più servizi, il lusso fa bene a tutti perché lascia soldi sul territorio. Non è possibile che in Costa Smeralda non ci sia una promenade per fare jogging, manca una pista ciclabile, se lasci l’auto devi camminare mezz’ora su strade sterrate prima di raggiungere il mare, sulle spiagge libere non trovi un bagno pubblico. Prima dell’arrivo di Aga Khan, nessuno conosceva la Sardegna, poi è arrivato Tom Barrack, adesso ci sono gli emiri del Qatar che a Porto Cervo hanno realizzato un villaggio spettacolare di Harrod’s sulla spianata di cemento del porto, il comune si è opposto e si è aperta una schermaglia legale. In Francia invece il governo ha spalancato le porte ai qatarini con una serie di agevolazioni fiscali per incentivare gli investimenti”.

 

Lei ha un legame antico con la terra sarda: ventuno anni fa, s’inaugurava a Porto cervo il primo Billionaire. Di recente, ha preso a cuore la causa dei pastori locali. “E’ gente che fatica per comprare i vestiti ai figli, così ho deciso di investire nella promozione del pecorino, il Bithi di Barbagia, che oggi puoi degustare in tutti i mei ristoranti, dal Cipriani di Montecarlo a quello di Dubai. Il bello è che la stampa locale, anziché festeggiare, si è interrogata su quali oscuri motivi mi spingessero a metterci dei soldi. Assurdo”.

 

Il Twiga a Otranto invece è naufragato. “Avevo concesso solo una licenza a dei giovani interessati a investire, alla fine mi è passata la voglia. Ne è venuta fuori una querelle infinita per l’esposto in procura di un grillino, sempre loro”.

 

I grillini la perseguitano. “Fanno male al paese. Pure Beppe Grillo, un populista geniale, si è reso conto dei mostri che ha creato, incapaci di governare e attaccati alla poltrona. Gente che non ha mai presentato una denuncia dei redditi. Luigi Di Maio, come primo impiego, fa il ministro del Lavoro, non male. Quel Toninelli, o Tontinelli, non si capisce se ci è o ci fa”.

 

Non abbiamo ancora citato il suo amico Silvio Berlusconi. “Gli voglio molto bene, da qualche tempo gli consiglio di dedicarsi a famiglia e nipoti. A ottant’anni è giusto così”.

 

Lei è uno dei pochi che il Cav. ascolta davvero, non per finta. “Gli dico come la penso, senza tanti giri di parole. Non ho mai chiesto un favore né a lui né ad altri politici. Non risiedo più in Italia da trent’anni, le mie attività imprenditoriali, ad eccezione di Billionaire e Twiga, stanno fuori, il che mi rende più libero”.

 

Berlusconi è un antesignano del populismo italico. “E’ un populista illuminato. A differenza di altri grossi imprenditori, a lui non hanno mai perdonato il fatto di essersi arricchito. Come politico, avrebbe voluto incidere di più ma governare un paese non è come governare un’azienda: ogni volta ti trovi a dover negoziare con partiti e partitini, le procedure sono un casino, finisci schiavo delle burocrazie”.

 

Oggi Forza Italia se la passa maluccio. “Non è più un partito ma un club. Il guaio è che Berlusconi non ha mai licenziato nessuno. Gli ho detto: sei passato dal 40 al 5 per cento, in qualunque azienda sarebbero saltate le teste, invece i tuoi dirigenti sono tutti lì, gli stessi da vent’anni, la gente non vuole vederli più neanche in televisione”.

 

Lei è un licenziatore seriale? “So essere cinico. Nella vita un po’ di cinismo serve. Nei nostri locali facciamo uno screening settimanale dei rendimenti: se il ristorante di Londra va male, i manager saltano e ne assumiamo di nuovi”.

 

Lei sembra pure un filo spregiudicato. “La spregiudicatezza non è un male in sé. Hai un progetto in testa? Vuoi realizzarlo? Allora devi metterti in gioco. Io volevo scappare dal paesino dove sono cresciuto. I miei genitori facevano gli insegnanti, mio padre mi bocciò in quinta elementare. A casa mia si mangiava carne una volta a settimana, il piatto di tutti i giorni era latte e castagne. Io ero povero e volevo diventare ricco”.

 

Ci è riuscito. “Con la società Billionaire Lifestyle do lavoro a 1.250 persone, più duemila in Kenya. Il povero, non potendo investire, attende che il ricco investa”.

 

Diplomato geometra a Mondovì, poi assicuratore, agente immobiliare, team manager Renault, patron del Billionaire. “FB”: un brand di successo, babbucce e occhiali colorati. “Uno con il mio nome era destinato a un mestiere anonimo, io invece sognavo la mia scalata dell’Everest. Sono andato fuori. Ho rischiato. Ma non ho mai creduto alla storia del self-made man: il successo lo costruisci in squadra. Ognuno di noi è quello che è grazie agli incontri che ha fatto, alle persone che ha conosciuto. Ancora oggi, come ai tempi della Formula 1, lavoro in team, gestisco decine di persone, le ascolto, le motivo, vigilo sui loro risultati”.

 

Il sodalizio con la famiglia Benetton ha cambiato il corso della sua vita. Perché Luciano puntò proprio su di lei? “E’ una persona intelligente. Ancora oggi siamo molto affezionati, lo sento una volta a settimana”.

 

L’anno scorso è mancato il fratello Gilberto che pure lei conosceva. “Era l’uomo dei conti, lo frequentavo poco ma gli volevo bene. Continuo a pensare che la sua scomparsa sia dovuta in gran parte allo sciacallaggio seguìto al crollo del ponte Morandi”.

 

Il vicepremier Luigi Di Maio è tornato ad agitare lo spettro della revoca delle concessioni autostradali. “Che pena, sembra di stare in Guatemala. Il governo ha usato una violenza inaudita contro i Benetton. Si attenda il processo, siano i giudici a stabilire le responsabilità oggettive. Esiste uno stato di diritto, esistono i contratti e la legge. Atlantia non è soltanto Benetton. Un ministro della Repubblica che si esprime in quel modo contro una società quotata in Borsa, a mercato aperto, è un pericolo vivente”.

 

Lei è lo scopritore di Michael Schumacher e Fernando Alonso. Ha vinto ben sette titoli mondiali. “Sono soddisfatto dei miei 17 anni in F1. Sono l’unico ad aver vinto con due team diversi. La scuderia dei Benetton si trovava nel cuore delle campagne londinesi, a due ore di strada dalla città. Mi svegliavo alle sei del mattino e la sera ero talmente stanco che andavo a dormire con gli abiti del lavoro addosso”.

 

Con lei il mondo grigio delle auto da corsa ha assunto un tocco mondano e commerciale. “Bisognava attirare gli sponsor, e gli sponsor non sono attirati dalle frizioni ma da piloti e modelle”.

 

La Ferrari, dopo l’uscita di Luca Cordero di Montezemolo, non è più decollata. L’ipotesi di fusione tra Fca e Renault sembra sfumata. “Il futuro è di tre grossi costruttori, le fusioni sono inevitabili. Sergio Marchionne è stato un genio finanziario a mettere insieme due zoppi, Fiat e Chrysler, ma la Ferrari non era in cima alle sue passioni”.

 

Veniamo alla vita privata. 2006: il tumore al rene scoperto per caso, l’intervento chirurgico e la decisione di eliminare il “superfluo”. Che vuol dire? “Mio figlio di 9 anni, Nathan Falco, è la cosa più bella che ho fatto. Non sono più disposto a sprecare il tempo, non posso permettermelo. Ho smesso di andare alle cene di lavoro, ai gala di beneficenza, niente compleanni, niente matrimoni. Non mi arrabbio più perché, a lavare la testa a un asino sporco, sprechi sapone e tempo. E non diventerà mai cavallo”.

 

Lei ha raccontato che l’incontro più sorprendente è stato quello con Nelson Mandela. “Ha trascorso una vita in prigione, eppure non l’ho mai sentito parlar male di qualcuno. Una volta lo invitai a un party al Billionaire di Barcellona, venne e ballò per tutta la serata”.

 

Nel 2015 suo fratello Valter è scomparso all’improvviso. Era il suo esatto opposto. “Era rimasto a vivere in campagna, gestiva un’azienda agricola che avevo comprato vicino a Saluzzo. Stava dalla mattina alla sera nei campi, faceva la vita che ogni medico ti consiglia, non beveva, non fumava. Una sera è tornato a casa e il cuore gli è scoppiato in petto. Ognuno di noi ha un destino: puoi cambiare un capitolo, non il libro intero”.

 

Com’è esser padre, a quasi settant’anni, di un bimbo di nove? “Se lo avessi avuto da giovane, quando ero preso dalla mia scalata dell’Everest, non gli avrei dedicato il tempo e le attenzioni che oggi gli riservo. Parlo con lui come si fa con un adulto, gli spiego dell’azienda, degli stipendi, mi confronto sui menu”.

 

Lei ha detto che, dopo il collegio svizzero, Nathan Falco non andrà all’università. “Non serve, se ho bisogno di un avvocato o di un medico lo pago. Mio figlio deve imparare a gestire quello che ho creato, altrimenti andrà in pensione a 21 anni”.

 

Lei e la mamma del piccolo, Elisabetta Gregoraci, avete divorziato. Eppure la sua voce è quella di un uomo ancora innamorato. “Tutti quanti commettiamo degli errori, solo chi non fa non sbaglia. Quest’anno abbiamo trascorso un po’ di vacanze insieme. Ho un enorme rispetto per Eli, sono stato con lei dodici anni. Mi piacerebbe rimettere insieme la famiglia, perché no”.

 

Come si fa a restare giovani? “Io pratico l’ottimismo. Poi, certo, le banane le compro mature, non verdi. All’età non ci penso: mi sveglio al mattino e mi ritaglio un’oretta di esercizi fisici, per il sesso c’è sempre il Viagra”.

 

Il suo volto è ringiovanito grazie a un ritocchino che ha fatto discutere. “In Italia c’è un’attenzione morbosa su tutto ciò che ruota intorno alla chirurgia plastica. Io sono ricorso alla medicina estetica: mi hanno messo un filo sul contorno viso che tira su i tessuti, zero cicatrici e addio doppiomento. Se uno ha un difetto e non si piace, può rimediare grazie alla tecnica. Non ci vedo niente di strano. Quando ti svegli al mattino devi essere contento”.

 

Lei è contento? “Io mi guardo allo specchio, penso alla mia vita e dico: che culo che ho avuto”.

 

Si prepara a emulare Trump? “Il nome ce l’ho: Movimento del Fare. Non è più tempo di attendere: imprenditori, sindaci e professionisti che hanno realizzato qualcosa nella vita devono mettersi in gioco in prima persona. Per il bene del paese, per restituire un po’ di quello che hanno ricevuto”

 

Il tumore al rene scoperto per caso nel 2006, la decisione di eliminare il “superfluo”. “Mio figlio di 9 anni, Nathan Falco, è la cosa più bella che ho fatto. Non sono più disposto a sprecare il tempo, non posso permettermelo. Ho smesso di andare alle cene di lavoro, ai gala di beneficenza, niente matrimoni”

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