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Il danno dell'alternativa modello Saviano

Claudio Cerasa

Il controllo dell’immigrazione non può più essere un’esclusiva della destra sfascista. Perché un’opposizione che combatte la Lega facendo propria la linea Saviano-Lucano diventa, per Salvini, un’assicurazione sulla vita

Tra i molti affluenti che da mesi ingrossano il fiume in piena del successo salviniano ce n’è uno non sufficientemente indagato che riguarda non tanto la capacità del leader della Lega di conquistare voti quanto quella dei suoi avversari di regalargli consensi. Matteo Salvini può piacere o può non piacere, ma al di là di ogni tipo di giudizio è difficile negare un tratto di verità: la forza del ministro dell’Interno è legata alla sua capacità unica di saper trasmettere agli elettori un sentimento di protezione. Si potrebbe dire che un conto è capire le paure e un altro è trovare soluzioni giuste per rispondere a quelle paure, ma non c’è dubbio che nell’ultimo anno il leader della Lega sia riuscito a scalare meglio di altri le vette del consenso italiano grazie alla sua abilità nel dare agli elettori risposte sui temi della sicurezza e dell’immigrazione.

 

 

Le risposte sono spesso sbagliate e quasi sempre controproducenti. Ma ciò che le opposizioni, soprattutto quelle di sinistra – le uniche cioè che mostrano ancora qualche segno di vitalità – dovrebbero chiedersi quando osservano la crescita del leghismo è se l’alternativa attuale al modello salviniano sia per Salvini più una minaccia o più una manna dal cielo. La risposta che ci permettiamo di dare è che se un’opposizione sceglie di combattere Salvini sul suo tema forte, ovvero la sicurezza, ovvero l’immigrazione, con la banale retorica di talento alla Roberto Saviano, con lo sconnesso modello romantico alla Mimmo Lucano e con la tesi da vecchia Repubblica che porta a trasformare in un fascista chiunque si azzardi a dire che governare l’immigrazione non significa occuparsi solo di integrazione, alla fine non farà altro che portare acqua al mulino dell’unico politico che si rifiuta di negare un fatto che può piacere o no e che però esiste: la paura degli italiani. Di fronte alle paure si può rispondere dicendo solo la verità, ovvero che buona parte di quelle paure non sono giustificate da fatti reali, oppure si può cercare una soluzione credibile e non evasiva per evitare che gli unici a dare risposte alle paure siano quelli che danno le risposte sbagliate.

 

In questi mesi, sul tema dell’immigrazione, i populisti hanno dato risposte sbagliate a paure reali portando avanti idee suicide: se dimostriamo che in Europa i migranti non vengono redistribuiti, se dimostriamo che in Italia i migranti non vengono accolti, se dimostriamo che i porti sono chiusi anche se sono aperti, se dimostriamo che nel Mediterraneo coloro che si occupano di salvare le vite sono sempre meno attrezzati a farlo, vedrete che alla fine i migranti non partiranno più. Le opposizioni fanno bene a denunciare il fallimento politico della strategia di Salvini (in Europa siamo alleati con gli stessi paesi che non hanno alcuna intenzione di aiutarci a redistribuire i migranti) ma fanno male a non chiedersi se non ci sia qualcosa che non vada nell’approccio con cui il salvinismo viene combattuto. E quel qualcosa, quel qualcosa che non va, è piuttosto evidente: l’alternativa al salvinismo non ha fatto nulla per tentare di fare quello che è riuscito per esempio ai socialdemocratici in Danimarca, ovverosia evitare che il controllo dell’immigrazione possa diventare un’esclusiva della destra. I populisti incapaci dicono chiudiamo i porti.

 

Una politica riformista seria e intelligente dovrebbe invece dire apriamo i porti ma chiudiamo le frontiere. Per un paese come l’Italia, chiudere le frontiere non significa fare respingimenti in mare ma significa fare di tutto per considerare i confini dei paesi da cui parte l’immigrazione come i confini del proprio mondo. La strada del riformismo dice non chiudiamo i porti (e dice che le persone in mare si salvano sempre) ma un attimo dopo dice anche che l’integrazione non basta se non si presidiano le frontiere, se non si creano canali umanitari, se non si trasforma l’immigrazione in un business positivo, se non si ha la forza di costruire il giusto reticolo di alleanze in Europa per risolvere problemi e non per complicarli. La politica del no-Salvini, della Lega fascista, del governo nazista, può aiutare a riempire qualche piazza ma non può aiutare a spiegare fenomeni come quello di Riace (dove la Lega è arrivata al 34,33 per cento, alle europee, e dove Mimmo Lucano, proprio nel suo paese, alle comunali non è riuscito a essere eletto neppure in Consiglio comunale), fenomeni come quello di Lampedusa (dove la Lega è arrivata al 45 per cento) e fenomeni come quello di Ferrara, dove dopo oltre settant’anni di guida di centrosinistra la città, domenica scorsa, è passata alla Lega. A Ferrara – frontiera con il Veneto, città dove inevitabilmente il vento leghista si sente più forte che in altre regioni, e lo stesso vale anche per Piacenza, al confine con la Lombardia, non a caso insieme a Ferrara uno dei territori più fragili per il Pd in Emilia Romagna – è stata punita un’amministrazione percepita come seduta e poco innovativa ma è stato punito, per stessa ammissione della classe dirigente democratica, anche un ceto politico che ha sempre scelto di considerare quasi dei pazzi i cittadini spaventati dall’immigrazione.

 

In provincia di Ferrara risultano residenti 31.638 stranieri, più o meno il 9 per cento degli abitanti. La media regionale degli stranieri sugli abitanti, in Emilia Romagna, è del 12,1 per cento. Ferrara non è dunque una città che ha emergenze legate al numero di immigrati o di stranieri (come d’altronde non ce li ha l’Italia) ma è una città che negli ultimi anni ha cominciato ad aver paura (come d’altronde hanno cominciato ad avere paura molti italiani). La Lega ha vinto a Ferrara per le stesse ragioni per cui ha vinto nel resto d’Italia alle europee e per le stesse ragioni per cui rischia di vincere a valanga le elezioni in caso di voto anticipato: dare il giusto peso alla richiesta di protezione che arriva dagli elettori. Le risposte che Salvini dà alla paura dei cittadini sono risposte destinate a non incidere sulle ragioni della paura. Ma le risposte che sul tema dell’immigrazione dà Salvini hanno una qualità rispetto a quelle dei suoi avversari: sono risposte sbagliate ma non sono risposte mute. E fino a quando sceglierà di combattere Salvini solo con il modello Saviano-Lucano, l’opposizione per Salvini rischia di essere la sua assicurazione sulla vita. Per non essere travolti dalle balle del populismo, serve una terza via con le palle, a meno di non voler dimostrare ancora a lungo quello che una forza riformista non si può più permettere di fare: trasformare il controllo dell’immigrazione in un’esclusiva della destra sfascista.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.