L'ex ministro del Partito repubblicano, Giorgio La Malfa (Foto LaPresse)

La Malfa ci spiega cosa gli piace del modello di governo La Malfa-Salvini

Giorgio La Malfa

Siamo entrambi critici del modello neo-liberista, ma sul deficit pubblico la pensiamo diversamente. L'intervento dell'ex ministro repubblicano

Al direttore - Giuliano Ferrara “vede” un governo Salvini-La Malfa, benedetto dal Financial Times, sostenuto da varie componenti della sinistra e poggiato sulle idee di John Maynard Keynes che ho riproposto di recente traducendo per i Meridiani di Mondadori la Teoria generale e altri scritti del grande economista di Cambridge. Gli scritti di Keynes danno certamente un forte supporto alla polemica contro l’idea che l’ideologia neo-liberista ha predicato e spesso imposto in questi anni secondo cui l’austerità è un modo efficace per risanare la finanza pubblica. E su questo punto c’è forse una convergenza fra quello che io penso e le posizioni degli economisti della Lega. Ma è troppo poco.

 

Se si concretizzasse il governo immaginato da Giuliano Ferrara, penso che varrebbe quello che una volta osservò Enrico Cuccia quando un noto imprenditore di sinistra stipulò un’alleanza con il Banco Ambrosiano di Guido Calvi: “Uno dei due – notò Cuccia – ha commesso un tragico errore”. Evidentemente, non posso parlare per l’on. Salvini. Non mi riferisco solo alle questioni dell’immigrazione e della sicurezza dove è evidente la distanza sulle soluzioni da perseguire. Resto sullo stretto terreno dell’economia. In un saggio del 1937, che ho voluto includere nel Meridiano anche per evitare uno dei frequenti equivoci sul pensiero di Keynes, questi scrisse che riteneva necessario introdurre un obbligo di legge che imponesse il pareggio del bilancio di parte corrente.

 

Questo è un punto da sottolineare. Per Keynes, il deficit pubblico doveva essere utilizzato come strumento eccezionale di intervento quando il sistema dava prova di non raggiungere spontaneamente la piena occupazione e quando le politiche monetarie espansive mostravano di non essere sufficienti. Ma il deficit doveva consistere in investimenti capaci di riassorbire la disoccupazione e di migliorare le condizioni del paese, la sua produttività e quindi stimolare una ripresa economica che avrebbe consentito di incassare entrate fiscali che avrebbero coperto l’esborso iniziale. Keynes era ben lontano dall’essere un teorico della “spesa facile”. Questa è da sempre la mia posizione: vengo da una tradizione politica che ha sempre sostenuto le politiche di investimento pubblico – Giuliano Ferrara ricorda certamente la famosa “Nota aggiuntiva” del 1962 – ma criticato aspramente il ricorso al deficit per pagare le spese correnti.

 

Questa è stata invece la politica del governo Salvini-Di Maio negli scorsi mesi: il deficit è stato usato per finanziare l’anticipo dell’età pensionistica e il reddito di cittadinanza. Queste – è evidente – non sono politiche keynesiane: sono la continuazione delle politiche che nel corso del tempo hanno portato l’Italia ad avere un debito pubblico gigantesco che oggi è un macigno sulla strada di qualsiasi buona politica. La proposta dell’on. Salvini di un “forte stimolo fiscale” è un azzardo che non mi sento in alcun modo di avallare. A parte gli aspetti di equità fiscale: chi garantisce che la gente non risparmierebbe le minori imposte pagate o non coglierebbe l’occasione per costituirsi una riserva prudenziale in un altro paese? In questo caso il debito crescerebbe ulteriormente e inutilmente. Chi garantisce che il mercato non spingerebbe lo spread oltre il già elevato livello attuale gettando il paese nella crisi finanziaria? La Bce del dopo-Draghi sarebbe disponibile ad aiutare un paese in rotta di collisione con l’Europa? Non vorrei che il leader della Lega sia mal consigliato da alcuni suoi consiglieri che pensano che una crisi dei rapporti fra l’Italia e l’area dell’euro sia una buona cosa.

 

Se alla nascita del governo Lega-5 stelle, il governo avesse predisposto un buon piano di investimenti aggiuntivi e lo avesse discusso in Europa con toni civili, forse esso avrebbe potuto ottenere un margine di flessibilità almeno pari a quello che ha strappato a dicembre per spese che, come si vede dai dati della contabilità nazionale, non producono né reddito, né occupazione. Ed ora, dopo un anno di ulteriore peggioramento del deficit, in una condizione di isolamento anche politico in Europa, riproporremmo una politica spericolata? Sono convinto che l’alternativa “austerità-sfondamento del deficit” sia l’alternativa del diavolo. Penso che serva e si possa definire una via intermedia fra l’austerità e l’avventura. Ed è quella che Keynes potrebbe benedire da lontano. Naturalmente sono grato a Giuliano Ferrara per la sua riflessione. È indispensabile cercare e trovare una soluzione “politica” al dramma italiano.

 

Con viva cordialità.

Giorgio La Malfa

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