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Dall'Italia al Regno Unito, c'è un rischio Argentina

Claudio Cerasa

Accorgersi troppo tardi dei guai generati dalla politica irresponsabile. Ecco il pericolo che corrono i paesi che ballano sul ponte del Titanic senza ribellarsi 

Nella pazza Italia che da nove mesi tenta di resistere all’incosciente cambiamento populista, esiste un mistero politico ed economico che riguarda un dato con cui sta facendo i conti anche la martoriata Gran Bretagna, alle prese con l’impossibile enigma della Brexit: la spensieratezza con cui i paesi in ostaggio di politiche irresponsabili continuano a ballare sul ponte del Titanic. Al contrario di quello che si potrebbe credere, l’elemento più sorprendente e curioso del ballo con vista iceberg non è quello che riguarda la traiettoria di una classe politica inconsapevole delle conseguenze delle sue azioni pericolose, ma è quello che riguarda la sorprendente capacità di adattamento dei paesi che vivono in balìa di politiche fuori controllo. In Gran Bretagna, da almeno due anni, non passa giorno senza che i più qualificati tra gli analisti non spieghino i disastri generati dall’uscita del Regno Unito dall’Unione europea (nello scenario peggiore del No Deal, secondo la Banca centrale inglese, il pil inglese sprofonderà dell’otto per cento nel giro di un anno rispetto alla ricchezza prodotta nel periodo pre-referendum). Allo stesso tempo, in Italia, da almeno nove mesi, non passa giorno senza che i più qualificati tra gli analisti non spieghino i disastri generati dall’uscita dell’Italia da un percorso di attenzione ai conti pubblici (l’Ocse, due giorni fa, ha previsto per il 2019 una recessione allo 0,2 per cento, un deficit al 2,5, un debito oltre il 134 per cento). Eppure, mentre il mondo governato dal populismo becero si avvia a portare il proprio paese verso l’impatto con l’iceberg, succede periodicamente di ritrovarsi di fronte ad alcuni dati che sembrano indicare una preoccupazione relativa al presente meno drammatica rispetto alle previsioni sul futuro. Succede, per parlare di Regno Unito, che il Guardian tiri fuori, è capitato la scorsa settimana, un’analisi sullo scenario economico del paese che registra sì, da parte delle imprese, una grande preoccupazione per un’incertezza politica divenuta un’emergenza nazionale, ma che allo stesso tempo, oplà, registra anche un’occupazione che, proprio nel bel mezzo dell’incertezza, ha raggiunto record positivi e un numero di consumatori molto alto che continua a spendere contro tutte le previsioni. Vale per il Regno Unito e in una certa misura vale anche per l’Italia, dove nonostante l’iceberg, nonostante una recessione in circolo, nonostante la disoccupazione in aumento, nonostante un deficit fuori controllo, nonostante un clima progressivo di sfiducia, lo spread resta alto ma non troppo, la produzione industriale diminuisce ma non troppo, i consumi diminuiscono ma non troppo, i consensi per i partiti di governo diminuiscono ma non troppo, i consensi per i leader di governo calano ma non troppo.

    

La presenza di un collasso economico imminente ma non ancora percepito dai cittadini può essere analizzato con due chiavi di lettura. La prima chiave, forse un po’ ottimistica persino per vecchi ottimisti come noi, ci suggerisce che l’epoca della grande incertezza potrebbe aver portato gli elettori a considerare l’incertezza non come una forma di instabilità ma come una nuova forma di stabilità. La seconda chiave di lettura, forse un po’ più convincente e purtroppo meno rassicurante, ci dice invece che laddove il benessere è tutto sommato diffuso (la ricchezza finanziaria delle famiglie italiane ammonta a 3,8 volte il reddito disponibile, mentre quella delle famiglie tedesche si ferma a 3, e nel suo ultimo rapporto Bankitalia ha calcolato che la ricchezza finanziaria delle famiglie in Italia ammonta a 4.400 miliardi di euro, quella immobiliare a 6.300 miliardi, mentre i debiti arrivano ad appena 900 miliardi di euro) le politiche irresponsabili aggrediscono la ricchezza di un paese in modo più progressivo che repentino. Un paese che ha una scorza resistente spesso riesce a tenere la sua economia lontana dai guai generati dalla politica. Ma un paese dove la scorza è resistente corre un rischio: accorgersi dei guai generati dalla politica irresponsabile quando è troppo tardi per fermare il collasso. E’ questa la fine che ha fatto anni fa l’Argentina, paese sano, in crescita, rigoglioso, ma con un debito molto alto, che ha visto crollare il proprio benessere in modo progressivo grazie a una politica spendacciona e incompatibile con la realtà. E’ questa la fine che rischia di fare qualsiasi paese che di fronte all’iceberg piuttosto che cambiare rotta decide di continuare a ballare. Musica maestro!

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.