Francesca Verdini e Matteo Salvini

Francesca e il Truce, uno scherzo del destino

Giuliano Ferrara

Ma l’amore vince tutto, magari pure questa botta di sovranismo politico

Come al solito, devo aver sbagliato qualcosa (quando ho tuittato “Francesca, devasti il mio cuore ma ti voglio bene lo stesso” e poi “Ogni donna ama un fascista”, motto celebre di Sylvia Plath). Forse non è una cattiva idea salire sul letto del vincitore. Il quale a pochi giorni dal Processo di Verona, città fatale e non solo ai Ciano, si è lasciato sfuggire una roba da radical chic, addirittura: Ognuno fa l’amore con chi gli pare. Nel racconto orwelliano di Giacomo Papi, mentre infuria il censimento dei radical chic, quelli che osano pronunciare il complicato nome di Spinoza durante un talk-show, si ipotizza che la caduta del ministro dell’Interno avvenga per la frenesia di infilarsi – sgamato e sputtanato – in un cinema d’essai a vedere qualcosa di simile a “L’anno scorso a Marienbad” di Resnais, invece che “Rambo”. C’è cascato? Omnia vincit amor (et nos cedamus amori), si sa, non è che Virgilio possa sbagliarsi, almeno lui. Sta di fatto che lei non gli stirerà le camicie, salvo casi eccezionali, e non andrà a Verona, dove la di lei propensione giovanile e un tantino ribalda per il way of life delle libertà civili espanse e sentimentali sarebbe tra l’altro accolta male. La mia Francesca, se posso osare la condivisione con tanto e tanto Truce uomo di stato, sarà riservata e innamorata ma inflessibile.

 

Comunque è uno strano scherzo del destino. “Pastation” è un delizioso ristorante alla moda di Campo Marzio, Roma, con filiali a Firenze e a Londra come si deve per le imprese serie, ed è il luogo galeotto di Matteo e Francesca, oltre che il regno di Denis, Simonetta e Tommaso, una cara famiglia di amici con cui ivi si digiunò, déjeuner in senso francese. Lì forse con un contratto di fidanzamento rinasce la Terza Repubblica, quella del contratto di governo, che tanto qui si avversa e con tante buone ragioni. Francesca dovrà rassegnarsi al nomignolo più ovvio: Claretta. Ma essendo dotata di artigli, non è detto che si aggrappi alla teoria dei porti chiusi, o Ramy si faccia eleggere se vuole lo ius soli (già felicemente superata dai fatti e dai sentimenti). Una rosa è una rosa una rosa una rosa, e così un fidanzato è un fidanzato un fidanzato un fidanzato. Niente più, e niente meno che questo.

 

La società aperta ha di questi benefici, tra gli altri. Che i quarantenni, beati loro, possono trovarsi a contatto con aspetti della realtà privata, cuore compreso, che trascendono la loro capacità di vincere in pubblico. Non cambia niente, ovvio, né l’affetto per lei né l’idiosincrasia per lui, eppure il panorama imbellisce con questa tenera storia della bella e della bestia. Così per un giorno si può almeno immaginare che la truculenza di stato si stemperi in amores ovidiani, con il trionfo aggiunto della metamorfosi, o addirittura catulliani (da mi basia mille deinde centum dein mille altera, dein secunda centum eccetera come ricordiamo dalla banale istruzione superiore).

 

Saviano può sperare in una resipiscenza, dunque. E noi tutti augurarci ciò che non accadrà, la trasformazione di questa botta di sovranismo politico in ordinaria politica democratica, con il prerequisito di un linguaggio sentimentale acconcio. Non ci scommetto una lira, deve passare la nottata, più a cazzotti che altro, ma l’amore sa che nox est perpetua una dormienda, che tutte le cose hanno un principio e una fine, e omnia vincit amor, appunto.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.