Luigi Di Maio e Matteo Salvini (foto LaPresse)

Tutte le finte liti dei compari Salvini e Di Maio

Salvatore Merlo

Prima della Tav c’è stato il condono, poi i migranti e pure le pensioni

Roma. Bibì diceva che c’era “la manina” della Lega nel condono penale occultato tra le righe della pace fiscale, e allora Bibò gli rispondeva sarcastico: “Conte leggeva e tu scrivevi”. Quindi Bibì si dava l’aria di quello tutto bellicoso e risentito, mentre Bibò faceva spallucce da menefrego tornandosene a Milano “per stare un po’ con mia figlia” (aggiungendo però – è il copione – “alla pazienza c’è un limite”). Più compari che dioscuri, più Gianni&Pinotto che Craxi&De Mita, da circa un anno Luigi Di Maio e Matteo Salvini recitano per noi: sul tetto al pagamento in contanti come sugli immigrati, sulle pensioni come sulla chiusura dei negozi la domenica. Così adesso anche sulla Tav. E ogni volta il tono guerresco sembra irrimediabile. E ogni volta è invece un darsi di gomito. 

  

Così anche stavolta è Luigi a fare l’offeso, a presentarsi in conferenza stampa, a Palazzo Chigi, serio serio nel suo solito completo di occhiaie e cravatta – “non si può mettere a rischio un governo per un punto che è all’interno del contratto”. E anche stavolta è Matteo che invece se ne torna a Milano con l’aereo delle 17, facendo spallucce, proprio come due mesi fa: “La Tav va fatta ma adesso vado da mia figlia, se ne riparla lunedì”. Salvini è il duro che fugge (“Il governo? E’ nelle mani di Dio”), Di Maio è il tenero inseguitore, quello che spinge la propria dissipazione teatrale – come quell’attrice del film Boris detta “cagna maledetta” – fino a toccare le corde del patetico con un monologo da telenovela sudamerica, tipo Milagros. “Sarebbe un peccato far cadere il governo e mettere a rischio tutti i provvedimenti che stiamo approvando”. Pausa intensamente declamatoria. Matteo, ritorna / le colline sono in fiore / e io amore sto morendo di dolore.

 

Il senso di déjà vu lo offre anche il non imprevedibile scioglimento del dramma (o della commedia) intitolata “Tav”. Salvini è a Milano. E domenica anche Di Maio – guarda un po’ – sarà a Milano per un’iniziativa pubblica di Rousseau. I casi della vita. Già si pregustano i titoli. “Summit a Milano”. “Gelo a Milano”. “Tensione a Milano”. “Milano fatale”. O anche: “La crisi scorre sui navigli”. Lì dove lo scorso 12 maggio, in via Tunisia, già una volta si consumò, secondo un noto quotidiano nazionale, “il giorno forse più buio per la trattativa di governo”. E ogni volta è un giorno più buio, un viaggio nella savana. Eppure si vede benissimo che i leoni sono imbottiti di tranquillanti, che i pitoni sono di plastica, che la giungla è opera di un vivaista di scarsa immaginazione. Trucchi di scena, anzi di regime, sullo sfondo di un’occupazione capillare e scientifica di qualsiasi poltrona e spazio di potere, dall’Istat alla Consob, fino alla Rai, che subisce in queste ore la prima riforma sovranista della sua storia. Questa, insieme agli accordi che prevedono la cessione di infrastrutture strategiche alla Cina, è probabilmente l’unica cosa vera e seria che succede. Il resto non sono boutade, ma bouTav.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.