(Foto Imagoeconomica)

L'asse tra Lega e M5s per spingere Salvini contro la Banca d'Italia

Valerio Valentini

L’accordo tra Borghi (Lega) e Ruocco (M5s) sulla legge per la proprietà delle riserve auree di Palazzo Koch è un caso politico

Roma. Ci sono circostanze in cui, per mettere in subbuglio gli equilibri di un partito, o di un governo, bastano poche righe. Claudio Borghi, per rivendicare allo stato il diritto di proprietà sull’oro custodito da Banca d’Italia, ne ha scritte appena dieci. E sono state sufficienti per minare, in modo forse irreversibile, i suoi rapporti coi vertici della Lega. La proposta di legge per ridefinire la proprietà delle riserve auree di Palazzo Koch – a prima firma dello stesso Borghi e sottoscritta da oltre settanta deputati del Carroccio – risale all’agosto del 2018, e sembrava destinata a dovere essere discussa dalla commissione Bilancio di cui il responsabile economico di Matteo Salvini, accanito sostenitore dell’Italexit, è presidente.

 

Sennonché, dai vertici del partito, arrivò assai presto un invito alla cautela: quella proposta di legge segnerebbe, di fatto, una rottura diplomatica tra Palazzo Chigi e Via Nazionale. Ed è così che Riccardo Molinari, capogruppo della Lega a Montecitorio e pure lui tra gli iniziali sostenitori del testo, impone a Borghi di desistere, lasciando che quel documento si perdesse tra le scartoffie mai smaltite. E invece, a distanza di qualche settimana, quella stessa proposta di legge ricompare, ma viene assegnata a un’altra commissione: la Finanze, presieduta dalla grillina Carla Ruocco – la quale del resto ha anche lei una discreta ossessione per i lingotti, se già a dicembre del 2014 incalzava Ignazio Visco per sapere dove fosse, “fisicamente”, l’oro della Banca d’Italia, sentendosi rispondere dal governatore, semplicemente, “in Banca d’Italia”.

 

Uno scippo? Non proprio. In realtà il trasferimento è avvenuto col sostanziale accordo dei due presidenti di commissione, e non a caso il relatore di maggioranza della proposta di legge è il grillino Raphael Raduzzi, che siede sia nella Bilancio sia nella Finanze. Una manovra che, a sentire i colleghi di Borghi, è stata messa in atto proprio per aggirare il veto posto dai vertici della Lega. E così, il 13 dicembre, nella commissione Finanze si è avviata la discussione sulla proposta di legge. Tanto è bastato perché la polemica divampasse sui giornali, dove Borghi riaffermava sempre con orgoglio la sua paternità sull’iniziativa legislativa. “Sull’oro di Bankitalia il governo va avanti”, titolava la Stampa il 20 febbraio, riportando un colloquio con Borghi. Subito smentito, però, dal premier Giuseppe Conte.

  

Un segnale, evidente, del malessere con cui tutti, a Palazzo Chigi, guardano ai disegni di Borghi. L’ennesima dimostrazione è arrivata lunedì, quando Giovanni Tria ha liquidato come insostenibile la proposta di legge (“Bankitalia non può dare oro all’Italia perché sarebbero aiuti di stato”), generando il risentimento del deputato leghista che ha poi definito “curioso” il ragionamento del ministro dell’Economia. In ogni caso, l’iter della proposta di legge prosegue: e anzi, ora tra i grillini più vicini alla Ruocco trapela l’intenzione di “rimettere in piedi” la discussione. Arrivando, tuttavia, a costringere poi un esponente dell’esecutivo – Tria o uno dei suoi vice – a dare, anche formalmente, un parere contrario su una proposta portata avanti con caparbietà dalla stessa maggioranza. Insomma, “una figuraccia”, si sfoga un uomo di governo del Carroccio. Non sarebbe però una vera novità con Borghi.

 

Da settimane, ormai, il presidente della commissione Bilancio colleziona incidenti diplomatici col suo stesso segretario. Solo per stare ai casi più recenti: il 15 febbraio annuncia che “se non riusciamo a cambiarla, meglio uscire dall’Ue”, obbligando Salvini a correggere il tiro di lì a qualche ora (“Non abbiamo alcuna intenzione di uscirne”). Passano cinque giorni, e al ministro dell’Interno tocca sconfessare di nuovo il suo responsabile economico, che aveva alluso alla convergenza del M5s nello stesso gruppo europeo della Lega. Una tensione che è emblematica dell’insofferenza con cui la progressiva svolta governista della Lega sui temi europei e su quelli finanziari viene sopportata dallo stesso Borghi, che d’altronde si ritrova, sempre più spesso, a dovere respingere le critiche dei suoi molti seguaci impenitentemente nostalgici della lira che, su Twitter e non solo, lo accusano di apostasia. Ed è forse anche per loro, per riconquistarli o quantomeno per illuderli che esista ancora uno spirito guerriero no euro, che Borghi ora s’intestardisce sull’oro di Banca d’Italia.

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