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Sull’onore nazionale non si traccheggia

Giuliano Ferrara

Non si fanno analisi di costi e benefici quando un pugno di dementi in divisa pregiudica il senso di appartenenza a una grande patria europea. Serve una barricata morale, non la flebile e compassionevole ipocrisia dell’indignazione ma la fermezza del disprezzo

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Abbiamo un problema. Serio. Se dalle comparazioni sociologiche sugli anni Trenta si passa a una mimica che allude al 1940, quando il Truce dell’epoca dichiarò guerra alla Francia per portare in tre anni a un disastro secolare l’Italia, e la rottura diplomatica con la République segnalò l’ardente voglia di avventura suicida, occorre non già abbassare i toni ma cambiare tono. E non solo il tono. Le parole, le azioni, tutto è in questione. La cultura smemorata deve riacquisire ciò che ha perso con un trauma di linguaggio, non di postura ma di parole irreversibili: riprendiamoci la capacità di valutare le cose per quello che effettivamente sono. Se un cronista fiacco usa la metafora più scontata e banale, “le Alpi sono più alte”, vuol dire che siamo messi male. Se una soubrette pensosa, già Badessa di tutti i poteri, si domanda patriottica: “Che cosa vuole Macron da noi?”, vuol dire che la bramosia di servilismo non ha più confini. Di fronte all’enormità di madurismo e spirito misogallo combinati insieme, e al dato della rottura diplomatica il cui modo provocatorio ancora offende, non si può traccheggiare, eufemizzare.

  

Sì, litigare con i francesi può nuocere al made in Italy, ma non è quello il punto. Può essere un modo contorto per cavarsela sulla Tav evocando il nemico di là dalla montagna, ma non è quello il punto. Ci esponiamo dall’alto di recessione e finanza fragile, in contesto internazionalizzato, a un credit crunch da imbecillità e rozzezza, ma non è quello il punto. Utile ricordare i dettagli, ma sono dettagli. E’ un dettaglio il vice dei vice che non controlla i suoi ministri bulli: dopo la conversazione da bar sport a Davos in cui la Merkel fu costretta imbarazzata a sentirlo dire con tono mellifluo di scusa che “Salvini è contro tutto” e l’odio per la Francia è un modo di evitare quello per la Germania, bè, che volete, non c’è più niente da dire. In America Trump per disfare il metodo costituzionale, e non ci è ancora riuscito fino in fondo, ha dovuto cambiare lo staff qualche dozzina di volte e cerca di piegare la Corte suprema nominando giudici ubriaconi e molestatori: qui sono tutti appecoronati da subito, non c’è bisogno di cambiare niente, bastano le azioni da infimo meretricio (espressione figurata e incontinente ma a suo modo affettuosa) che si aggirano nei corridoi della Rai.

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Non si fanno analisi di costi e benefici quando un pugno di dementi in divisa pregiudica l’onore nazionale e il senso di appartenenza a una grande patria italiana e europea, qui si tratta dell’eterno maleficio del trucismo all’italiana. La Tav è un buco nella montagna che serve a far passare il treno diretto verso le maggiori città europee, merci e persone, punto, così si parla. Economia e istituzioni, e quel Parlamento gialloverde che sembra “una cancelleria infestata dalle mosche” (Salvatore Merlo), sono state allagate dalla menzogna, e il costo non è contabilizzabile con tecniche di ragioneria, è un insulto al popolo che si dice di rappresentare e alla sua storia tradizione e memoria di diritti democratici e liberali. Ci sarà tempo per trovare soluzioni, o almeno per cercarle, oggi la soluzione è una barricata morale, una lingua di fuoco, non la flebile e compassionevole ipocrisia dell’indignazione ma la fermezza del disprezzo.

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