Da sinistra: Roberto Maroni e Matteo Salvini (foto LaPresse)

Il piano win-win di Maroni per il governo sovranista (con meno M5s)

Maurizio Crippa

Su lavoro ed economia serve tutt’altro e su questo Salvini rischia. Ma può rimediare dopo le Europee. E nel 2020 meglio votare

Milano. “Marco Biagi una misura come il reddito di cittadinanza non l’avrebbe fatta, avrebbe puntato sulle politiche attive del, e per, il lavoro”, dice l’ex ministro leghista del Welfare, che con Biagi lavorò. “Il rischio – e sono prudente – del reddito di cittadinanza è che non solo faccia diminuire l’occupazione, ma finisca per creare lavoro nero. Su questo la penso come Giorgetti: ‘Una misura che piace a un’Italia che non ci piace’. Però, dico: riveduto con attenzione dagli esperti della Lega, è stato in parte migliorato. Ma attenzione, dico a Matteo Salvini: bisogna vigilare molto bene in fase di attuazione. E inoltre, mi auguro che sia una misura che in futuro sarà superata”. Roberto Maroni picchia duro – nel nome di Marco Biagi, e anche del nord produttivo, l’elettorato della Lega, di cui conosce bene l’opinione a riguardo, decreto dignità compreso – sulla visone del lavoro e dell’economia dei Cinque stelle. Però: Matteo Salvini ha motivo di vergognarsene, ma il reddito di cittadinanza il suo governo l’ha firmato. Sospiro: “È scritto nel contratto”. Spostamento del mirino: “Fossi nei panni di Di Maio, avrei fatto tutt’altro, proprio in nome delle politiche attive. Le cose contenute nel ‘Libro bianco’ in parte furono fatte. L’obiettivo era far entrare i giovani nel mondo del lavoro, e far rientrare chi era uscito. Ma era il 2003 ed è cambiato il mondo. Oggi la vera sfida è la generazione dei millennial, che hanno caratteristiche diverse e hanno bisogno di politiche attive diverse”.

      

Prosegue Maroni: “I millennial chiedono mobilità, valorizzazione. Dalle piccole imprese spesso se ne vanno molto presto, lo so per esperienza, per incompatibilità con i ‘senior’. Chiedono di fare esperienze professionali di crescita, non ‘gavetta’ in base ai vecchi contratti sindacali”. Ma di tutto questo, manco l’ombra. “Di Maio è un millennial, ma atipico… Al suo posto, avrei scritto un ‘decreto felicità’: politiche attive per ingressi veloci nel lavoro, abolizione dei contratti rigidi nazionali per far sì che le carriere dei giovani possano essere valorizzate, in crescita da un posto all’altro. Idee così”. E’ quello che piacerebbe a tante aziende dinamiche del nord, ma ci risiamo: questo governo sta deludendo molto queste aspettative. Per la Lega è una brutta faccenda. “Sì, lo ammetto, una certa delusione c’è. Ma bastano i sondaggi: il nord non sta abbandonando la Lega. Comunque sì, Salvini deve stare attento. Ma la soluzione ce l’ha”.

 

Sarebbe? “Stravincerà, mi pare, le europee. E a quel punto sarà necessario un aggiustamento delle deleghe: sarà ora di prendere in mano ad esempio il lavoro e lo sviluppo, e le infrastrutture. E vedrete che le cose cambiano”. Nel frattempo “il governo è solidissimo: nei consensi, perché non ha opposizione, e in ogni caso può dare la colpa all’Europa”. Come sui migranti? Lei è stato ministro dell’Interno, gliene dicevano di tutti i colori, ma le politiche che ha attuato non erano le chiusure dei porti, i profughi bloccati sulle navi. “Noi avevamo impostato la politica della distribuzione delle quote, trattato con l’Europa e con la Libia. Certo, io credo che prima di tutto c’è la vita umana. Ma ancora: se i migranti non vengono redistribuiti, di chi è la responsabilità? Dell’Europa. Su questo Salvini ha l’appoggio dell’opinione pubblica. Mi creda: questo governo gioca a porta vuota”.

  

E si arriva alla politica. Ai consigli (ipotetici) al leader della Lega da parte di un leghista storico, che non ha mai fatto mistero dei suoi dubbi su alcuni aspetti della svolta nazional-sovranista, ma che è convinto che questo governo va avanti benissimo, “a meno che cada un meteorite”. Lei ha scritto che prevede elezioni nel 2020, ma dice che il governo è solido. Provi a spiegarla a Salvini: “Il governo ha consenso; ha fatto quota 100 e reddito di cittadinanza, e ai suoi sostenitori può spiegare che se sono meno splendenti delle promesse fatte è colpa dell’Europa. Ma se la crisi economica incalzasse, la manovra del 2020 rischia di essere lacrime e sangue, e non conviene. Allora, con una Lega rafforzata dalle europee, anziché prendersi i rischi di manovre restrittive in queste condizioni di alleanza, può venire il momento di dire: si torna a votare. Certo, con una nuova legge elettorale”. Dice poco. A Maroni piacciono le grandi visioni, ed ecco che disegna uno straordinario scenario win-win per Salvini e l’asse sovranista. Fa un po’ impressione, sentire dire a Maroni “sovranista”, lui che ha sempre preferito “federalista”.

 

Ma per come la vede lui, la contraddizione è superata dalla storia: “27 maggio 2019, fine del centro-destra come lo abbiamo conosciuto. In Europa e in Italia. Vince il fronte sovranista. Magari non la maggioranza, ma abbastanza da cambiare i connotati alla Commissione. Ad esempio, l’Italia esprimerà un commissario e sarà un sovranista. Si torna in Italia. Come si va a votare? C’è pronta la legge dei sindaci: doppio turno, elezione diretta – e questa volta per la prima volta sarà il premier. Più democrazia votata dal popolo di così. E’ il vento della storia”. Obiezione: per il premier eletto dal popolo serve una riforma costituzionale. “Pronta anche quella, si riprende la nostra sulla devolution, che abolisce anche il Senato, trasformandolo in Senato delle Regioni. Oltre metà degli italiani lo vuole, perché non dovrebbe funzionare? E le carte del mazzo le ha Salvini”. Tutto entro il 2019? Forse è un po’ troppo. “Certo, può sempre cadere un meteorite”.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"