Matteo Salvini (foto LaPresse)

Salvini, oltre i negher nulla

Claudio Cerasa

Le trattative sul 2,4 dimostrano che andare contro l’Europa è coerente con il contratto di governo ma non con l’interesse nazionale. Ma senza antieuropeismo, senza flat tax, senza pil, cosa resta di Salvini? Tra new face e new fake. Indagine sul futuro del Truce

Si era presentato pochi mesi fa, anche grazie a quel 2,4 per cento sostituito oggi con uno spassoso 0 prima del numero 4, con il volto minaccioso, aggressivo e inarrestabile del politico più temuto d’Europa, pronto a mettere in campo il suo personalissimo whatever it takes per ribaltare, come fossero vecchi calzini, molti trattati europei, molti burocrati di Bruxelles, molte cancellerie del continente. Si era presentato così, pochi mesi fa, duro, truce, solido, tosto, pronto a fare di tutto pur di mantenere la rotta, e anche grazie a quell’atteggiamento aveva conquistato in un lampo di eccitazione mediatica le prime pagine dei giornali internazionali e a metà settembre come molti di voi ricorderanno fu il Time a sparare Matteo Salvini in copertina con volto tetro e sorridente a incorniciare una possibile profezia: “The new face of Europe”.

 

Arrivati alla fine dell’anno, si può dire, con spirito più analitico che maramaldo, che a questo punto della storia “il capitano che – come scritto dal Time – sta scuotendo l’establishment europeo e che minaccia di rovesciare un sistema politico che è stato travolto dall’ondata populista degli ultimi tre anni” è a un passo dal diventare più “the new fake” che “the new face”. Dall’inizio dell’anno a oggi, ci sono almeno quattro versioni di Matteo Salvini che si sono imposte sulla scena politica. La prima versione è quella del Salvini leader di un elettorato di centrodestra interessato a fare di tutto per arrivare al governo per abbassare le tasse. La seconda versione è quella del Salvini leader di una nazione terrorizzata dall’“invasione” degli immigrati. La terza versione è quella del Salvini garante degli interessi dell’Italia del nord benestante, ricca e produttiva. La quarta versione è quella del Salvini leader del partito più antieuropeista d’Italia che in virtù del suo programma elettorale esplicitamente antieuro (“L’euro è la principale causa del nostro declino economico… abbiamo sempre cercato partner in Europa per avviare un percorso condiviso di uscita concordata. Continueremo a farlo”) è arrivato a portare in Parlamento politici esplicitamente antieuro come Claudio Borghi e Alberto Bagnai.

 

A prescindere dal giudizio che ciascuno di noi e di voi può avere su Matteo Salvini, oggi possiamo dire con una buona dose di oggettività che in sei mesi di governo almeno tre delle quattro versioni del Truce sono state spazzate via. E tra flat tax sparita nella manovra (tranne quella per gli evasori), tra partito del pil in collera con Salvini (l’ufficio parlamentare di Bilancio ha calcolato un aggravio totale per le imprese previsto nella manovra pari a 6,3 miliardi) e antieuropeismo messo improvvisamente da parte (“tiriamo dritto, vedrete, il 2,4 della manovra non si cambia”, aveva detto il capitano il 10 ottobre) il risultato è che, lotta contro l’immigrazione a parte, che non è poco, e passeggiate tra gli ultras sotto l’egida degli spacciatori, che non è poco, il profilo di Salvini oggi, come si dice, non è più né carne né pesce.

 

Più che usare le contraddizioni di Salvini, unico politico al governo che può avere un futuro anche dopo questo governo, per fare le pernacchie al leader della Lega può essere interessante ragionare attorno a un tema asettico e per così dire analitico. Ma se Salvini perde il suo tocco antieuropeista, e non trova argomento più convincente per trattare con la Commissione se non quello di dire che l’Italia dei populisti vuole fare con il deficit solo la stessa cosa che fa la Francia degli antipopulisti – anche se poi non è vero e prima o poi qualcuno dovrebbe spiegare al capitano che cos’è il deficit strutturale – se Salvini perde tutto questo e usa il suo straordinario consenso per portare a casa una manovrina ultra light che crea danni al paese senza una giustificazione ideologica capace di dare un senso a un incredibile isolamento europeo e un’instabilità tutto sommato auto indotta dalla politica; se non c’è più tutto questo, se non c’è più la battaglia contro le regole dell’Europa, che cosa resta della rivoluzione di Salvini?

 

Le trattative con la Commissione europea hanno dimostrato a Salvini che andare contro l’Europa è coerente con il programma elettorale della Lega ma è incoerente con l’interesse nazionale. Non si tratta di capire se Salvini possa diventare o no un politico responsabile, perché un ministro che mette a rischio l’economia italiana per un nulla non può che essere considerato irresponsabile, ma si tratta di capire che strada prenderà Salvini per provare a non essere una nuova meteora della politica. E quando capisci che l’Europa non la puoi cambiare da fuori, a colpi di piccone, forse inizi a capire che l’unico modo per farlo è cambiarla da dentro. E non triangolando con i sovranisti da quattro soldi che agitano l’Europa ma provando a fare quello che qualche giorno fa Romano Prodi ha previsto che prima o poi accadrà: portando presto la Lega nel Ppe. Ma questa forse è un’altra storia.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.