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La targa di Curcio, la fuga di Battisti e l’eterno fraintendimento degli intellò

Maurizio Crippa

I danni di un cattivo rapporto con la storia e la politica

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"Abbiamo annullato il seminario con Renato Curcio in programma per sabato 15 dicembre. Crediamo che il nostro intento sia stato frainteso", recita il comunicato dell’International School of Studies for Universal Peace di Orsara, Foggia. Ce ne fosse mai uno, ma mai, di questi organizzatori culturali, di questi promotori di coscienza, di questo ceto medio riflessivo – e ci mettiamo i giornalisti, e la maggior parte dei politici – così irriflessivo su quel che combina, che dopo un attimo non si senta “frainteso”. I fraintendimenti nascono, sei volte su dieci, dalla incapacità di spiegare il proprio messaggio e le proprie intenzioni. Il sindaco Tommaso Lecce non intendeva premiare con una pergamena (ma forse era una targa) dell’Anpi il fondatore delle Brigate rosse. L’omaggio era solo per parentela, in ricordo di uno zio, Armando Curcio, partigiano locale morto a 21 anni durante la Seconda guerra mondiale. Se suo nipote Renato fosse oggi un ex bancarottiere, o un somaro sovranista, probabilmente nessuno avrebbe avuto da ridire, a partire da Maurizio Gasparri. E’ un ex detenuto per terrorismo, ha finito di scontare la sua pena e il fatto che si polemizzi a ogni suo intervento pubblico la dice lunga sul comune (non) senso dello stato di diritto. Ma sapere cosa si veicola col proprio dire e agire, sarebbe il minimo. I fraintesi di Orsara sono riusciti a mettere in imbarazzo persino l’Anpi: erano “completamente estranei”.

 

Tutto questo non varrebbe un commento, se si trattasse solo di incapacità comunicativa. Quel che merita una riflessione è che esiste un tipo di fraintendimento più grave, che è tipico di un modo di mal intendere la cultura storica per cui in fin dei conti associare, fosse pure per parentela, la Resistenza con il terrorismo degli anni ’70 è un refuso minore, uno snodo narrativo sedimentato, come le voci fuori campo nelle fiction Rai: in fin dei conti erano pur sempre i nipotini di Secchia, era la bandiera della rivoluzione ripresa da terra. E tutto si tiene, nel pantheon della grande chiesa che va da Che Guevara a Madre Teresa. Ovviamente, vale anche per quelli che Mussolini faceva arrivare i treni in orario, e il resto in cavalleria: comprese le leggi razziali. Il peso della storia, la fatica del distinguere e del giudicare, e persino del sottilizzare, verbo fuori moda, sono quel che spesso manca. E’ così che nascono i fraintendimenti.

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Fate un salto, quantomeno di gravità della vicenda, ed ecco l’eterno caso di Cesare Battisti. L’ex terrorista – condannato per omicidi, non come mandante morale: è pur sempre una differenza – risulta ora latitante, dopo l’ordine di arresto del Supremo tribunale federale del Brasile. L’idea di caccia al latitante di Bolsonaro è un po’ peggio di quella di Lula, e ci si augura non finisca al peggio. Ma l’infinita latitanza – o permanenza all’estero per evitare processi e prigioni – di Battisti è la macchia di un fraintendimento parente di quell’altro. I fiumi di parole e di appelli di intellettuali italiani e francesi – l’insopportabile Fred Vargas del “perseguitato politico” – che hanno fatto da copertura giustificazionista a Battisti e al suo rifiuto di assumersi la pur minima responsabilità, hanno consentito ai governi francese e brasiliano di perpetuare un fraintendimento giuridico ed etico. Scappare agli sbirri è un diritto umano, saper giudicare senza fraintendere, dovrebbe essere un obbligo per il ceto medio irriflessivo.

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