L'appello No Tav e il senso dell'intellò per la causa di cui pentirsi

Marianna Rizzini

Professori, attori, intellettuali vari contro l’alta velocità. Anche loro cambieranno idea visto che l’ha già cambiata una parte della sinistra torinese e del sindacato?

Roma. Stavolta (come altre volte) è la Tav: per la precisione, la causa No Tav. Ma poteva essere, nell’ordine: quella No Cav. (ormai roba d’antan) o No Tap (ormai controversa). E poteva essere pure la causa del Sì: Sì al dialogo Pd-Cinque stelle (anche in versione preliminare, il cosiddetto “scouting”), Sì agli appelli di Roberto Saviano e No agli attacchi contro Roberto Saviano. E, a ritroso: No al referendum costituzionale ma nel senso del Sì alla Costituzione, No all’edificazione selvaggia e Sì all’edificazione post-terremoto (ma No agli speculatori).

 

E insomma c’è intellettuale e intellettuale e c’è causa e causa, e le cause si moltiplicano, motivo per cui, complice la confusione e la rapidità di diffusione degli appelli sul web, capita pure (spesso?) di sposare qualche causa di cui pentirsi. E dunque chissà se domani la causa No Tav piacerà ancora a chi, sulla scia dell’appello lanciato qualche giorno fa da cittadini e cittadine del mondo accademico e culturale torinese, ha firmato contro l’alta velocità, accogliendo l’invito a individuare “le scelte” che possano aiutare il paese a uscire dalla crisi (ma senza la nuova infrastruttura Torino-Lione).

 

E si capisce che non siamo ancora sulla linea dei docenti internazionali (di vari paesi e vari continenti) che nel 2014, coadiuvati dal filosofo Giorgio Agamben, mandarono a dire all’Italia che era meglio evitare: “Ci allarma e ci preoccupa”, scrivevano, “il clima di controllo e di neocapitalismo particolarmente violento nei confronti degli attivisti del movimento No Tav in Val di Susa”. Oggi siamo sulla linea del: venite in piazza l’8 dicembre contro la Tav, nella Torino dove ieri gli Stati generali delle categorie industriali e artigiane si sono riunite per dire invece che sì, la Tav non soltanto s’ha da fare ma s’ha da fare pure in fretta: siamo qui, hanno detto i convenuti con l’idea di farsi ascoltare dal premier Giuseppe Conte, “per ribadire la centralità delle infrastrutture, a partire dalla Torino-Lione, e chiedere al governo una riflessione seria e libera da pregiudizi ideologici sulle scelte che riguardano grandi opere e sviluppo”, spiegano le categorie datoriali che per la prima volta si riuniscono compatte”.

 

Intanto, però, l’appello degli accademici sabaudi ha conquistato, tra gli altri, Tomaso Montanari e Salvatore Settis, presenze ricorrenti dei No e dei Sì più mediatici degli ultimi dieci anni, oltre all’urbanista Vezio De Lucia, al sindaco di Riace Domenico Lucano, a Jacopo Fo, Valerio Mastandrea, Sabina Guzzanti, Wu Ming e Christian Raimo. Parole d’ordine della chiamata al No: “No grazie, Torino merita di più”. Ma dipende da come si guarda il tutto: i ceti produttivi pensano di meritare di più nel senso di più sviluppo e meno blocchi dei progetti a monte (questo pensa anche una parte della società civile che proprio a Torino è già scesa in piazza, un mese fa, per dire sì al potenziamento infrastrutture).

 

Cambieranno idea, gli intellettuali del No, visto che l’ha già cambiata una parte della sinistra cittadina e del sindacato? Difficile a dirsi, e però non si può fare a meno di pensare, prendendo un caso noto, a quando, nella primavera del 2013, non ci si capacitava, in un certo mondo professorale e artistico, che il Beppe Grillo dai prof. sponsorizzato (quando non votato) alle elezioni politiche in cui i cinque stelle arrivarono al 25 per cento, non volesse neanche parlarci, con gli intellettuali che gli chiedevano la svolta dialogante con il Pd, una volta messi i suoi nel Parlamento da aprire come la scatola di tonno e da cui far uscire orde di politici anche detti “morti viventi”. “Una grande occasione si apre, con la vostra vittoria alle elezioni, di cambiare dalle fondamenta il sistema politico in Italia e anche in Europa. Ma si apre ora, qui e subito”, scrivevano, tra gli altri, i suddetti Tomaso Montanari e Salvatore Settis, e la rispostaccia di Grillo arrivava fragorosa. E peggio è andata a chi, come Fiorella Mannoia, si è trovata, dalla sinistra, ad appoggiare pubblicamente il M5s, salvo pentirsene, come altri (vedi l’attore Ivano Marescotti) al primo barlume di alleanza con la Lega.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.