Luigi Di Maio e Danilo Toninelli (foto LaPresse)

L'invettiva come arte di governo

Salvatore Merlo

Bce, Mef. Vomitare contro le istituzioni rivela chi combatte contro la realtà

La Banca d’Italia dovrebbe tacere o candidarsi alle elezioni come il Fondo monetario internazionale, Mario Draghi non fa altro che “avvelenare il clima”, la Ragioneria generale dello stato è un covo di sabotatori e lo stesso vale evidentemente per l’Inps… Convinti che ogni critica sia un attacco e che la loro inadeguatezza sia un’invenzione di presunti e inafferrabili nemici, Luigi Di Maio e i suoi compagni di Movimento non accettano appelli, consigli, segnali di aiuto, preghiere del mattino, ma al contrario trattano l’Italia e l’Europa, le loro istituzioni e i loro saperi tecnici, i funzionari e gli economisti, persino gli imprenditori e gli ingegneri, insomma chiunque si azzardi ad avvertirli degli errori, come una mala bestia da addomesticare. E allora Carlo Cottarelli è “trombato” e scroccone di pensioni, Federico Fubini del Corriere è il “ventriloquo di Soros”, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella uno di cui si può chiedere la messa in stato d’accusa, gli imprenditori che vogliono la Tav sono “speculatori”, i tecnici del ministero dell’Economia “pezzi di merda” e infine Roberto Garofoli, che è il loro capo, va addirittura sporcato con ogni mezzo, anche quelli che quasi quasi ricordano lo stile di Mino Pecorelli, lavoretti per il solito giornale amico e corrivo, cioè il Fatto.

 

Elevando l’invettiva ad arte di governo, questi ex emarginati vogliono fare espiare al paese intero le loro frustrazioni aggredendo quel genere di uomini e di capacità con le quali Luigi Di Maio e Danilo Toninelli, Laura Castelli e Barbara Lezzi, cioè i ministri grillini, non sono mai riusciti a intrattenersi, perché nemmeno li capiscono. Odiano i tecnici e le procedure, cioè le competenze e le buone maniere democratiche, che non hanno mai frequentato. Disprezzano i libri che non hanno mai letto né tanto meno scritto e che per alcuni di loro sono probabilmente delle zeppe da mettere sotto il tavolino traballante in casa della zia Pina. 

 

E d’altra parte, come s’inventano nomi evocativi per provvedimenti nei quali il titolo non corrisponde affatto al contenuto – “spazzacorrotti”, “decreto dignità”, “reddito di cittadinanza”… – così Di Maio e i suoi ragazzi si reinventano un mondo popolato di traditori ai quali contrappongono le loro paure e i loro complessi. Un’attività insensata e spiazzante che equivale a segare il ramo sul quale siamo tutti seduti, perché non c’è alcuna perfida intelligenza comunicativa né un rapporto consapevole con le cose, nell’insolentire, additare, indebolire la Bce o l’Ufficio parlamentare di bilancio, il Mef e il suo gabinetto, cioè tutti quelli il cui lavoro è proteggere l’Italia ed evitare catastrofi. D’altra parte, come hanno scritto le agenzie di rating per spiegare le ragioni per le quali non ci hanno ancora declassato: la fortuna italiana è di avere ancora istituzioni tecniche affidabili.

 

Così, alla fine, questo vomitare trivialità ora su uno ora su un altro pezzo del sapere e delle istituzioni, è in realtà rivelatore. E’ l’album delle fotografie di questi uomini oggi al governo che hanno un conto aperto con la natura, con la società e a ben guardare anche con l’istruzione. Laura Castelli, per esempio, che esercitava abusivamente la professione di commercialista e ora è viceministro, è convinta che l’economia funzioni come le nozze di Cana, cioè che basti mettere un euro in investimenti pubblici per assistere alla miracolosa moltiplicazione dei pani e dei pesci. Quando le fanno notare che non è così, lei pretende la testa dei funzionari che la contraddicono. Danilo Toninelli invece crede che gallerie e treni veloci siano escogitazioni del demonio, e non un sistema per sconvolgere l’arretratezza, dunque spiega lui a fisici e ingegneri come si fa a collegare Torino e Lione con una pista ciclabile. Quanto a Di Maio è inutile dire, così giovane già vanta una densa carriera fondata sulle gaffe e le minacce: legge la manovra in Cdm, non la capisce, e allora va in tv da Bruno Vespa a denunciare il “complotto della manina”. Sembrano quei personaggi di Stendhal che cercavano a Parigi il risarcimento degli affronti subiti in provincia. Un impasto di malesseri e sfoghi forcaioli. In sostanza un film drammatico.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.