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Nuovo cinema Di Battista

Marianna Rizzini

Lo scrittore di libri autobiografici e reporter dalle Americhe per il Fatto quotidiano ha lanciato un nuovo genere cinematografico: il video-verità (con veemenza)

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Roma. C’è un nuovo genere cinematografico: il video-verità (con veemenza) di Alessandro Di Battista, ex deputato M5s, scrittore di libri autobiografici e reporter dalle Americhe per il Fatto quotidiano. E insomma il Dibba che teletrasmette se stesso da San Francisco, ripreso dalla compagna mentre il bimbo dorme e mentre si dà il ritmo a tempo di “è così, punto!”, esclamati ogni volta che il discorso lo porta a rispondere alle accuse dei misteriosi accusatori “che rosicano” per le sue scelte di vita (“e sono cazzi miei come mi guadagno da vivere, cazzi miei!”), è talmente “oltre” il Dibba da semplice comizio da rendere obsoleti i servizi televisivi che lo ritraevano nelle piazze o i messaggi in cui non la mandava a dire sul governo non ancora nato (“al voto subito, bivaccare è ignobile”). 

  

 

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Ed è una maschera riuscitissima di italiano post-ultra-neorealista quella del Dibba che, dapprima sussurrando perché il figlio dorme e in Italia “è tardissimo”, e poi non resistendo all’invettiva dal tinello west coast, ripete senza paura che il “futuro degli africani è in Africa” (“io ci ho parlato con gli africani”, questo è il concetto, corroborato dal racconto dei trascorsi lavorativi in Congo) e ricorda di “non essere tenuto” a dare spiegazioni a chi, sempre “rosicando”, parla della sua liquidazione dalla Camera: e allora se è così facile restituire i soldi, se “è un gesto così populista”, beh “restituiteli, chapeau, vi faccio un bell’applauso”, è il crescendo del Di Battista polemista e didatta (“l’italiano deve crescere!”), quello che, sì, ha scritto un libro ma “non ha preso quattrocentomila euro”, roba che “manco Dan Brown”, e invece quando va alla Tesla si intristisce per le non magnifiche sorti (e progressive) dell’umanità sostituita dalle macchine. Poi, seduto in maglietta, buon pastore che arringa le pecorelle sperdute, inanella altri due o tre “punto!” (e basta), con le mani (effetto ottico?) che sembrano a tratti giunte come a sottolineare il pathos, e se ne esce con la frase che più d’ogni altra suggella la linea in politica estera: “Mica le ho baciate io le mani a Gheddafi!”. E si capisce che il Di Maio governativo, intento a navigare nel mare tempestoso (vedi stadio della Roma) nulla può di fronte all’urto mediatico del reale, surreale, iperreale “buonanotte, Italia, coraggio” infine proferito dal Dibba viaggiatore.

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