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Nella Brescia dove il Pd vince e convince. Parla il sindaco Del Bono

Marianna Rizzini

Il Partito democratico ha vinto “perché non siamo stati arroganti”, spiega, “ma anche perché non siamo stati buonisti e abbiamo preso decisioni: integrazione, sì, ma con rigore"

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Roma. Ha vinto, con il 53,9 per cento e al primo turno. Anzi ha rivinto (secondo mandato). Ma il punto è un altro. Emilio Del Bono, sindaco pd rieletto a Brescia, si trova oggi, rispetto al quadro nazionale, quasi nella posizione del panda. Ma non di miracolo si tratta e Del Bono, interpellato, ci tiene a sottolinearlo: “Non esiste una ricetta magica esportabile”, dice. “Anzi qui è successo questo: il lavoro duro di cinque anni ha dato un buon risultato. Importante è il metodo: umiltà, ascolto, essere poco salottieri, aver fatto una scommessa in positivo, che ha prodotto nei cittadini lo scatto d’orgoglio di essere bresciani”. Frugale la risposta, come frugale, dicono a Brescia, è il sindaco, già parlamentare per il Pd (derivazione Margherita) e già candidato non vincente nel 2008: un uomo politico di carriera e non d’improvvisazione, di famiglia non politica e non borghese (motivo per cui – vox populi – “non hanno avuto presa le critiche del centrodestra orientate a dipingerlo come il capo dei radical-chic”). Un uomo politico ben radicato nella tradizione della catto-sinistra bresciana (Mino Martinazzoli, Paolo Corsini) nonché in un passato oratoriale-scout per eloquio e Weltanschauung, con una punta di giansenismo nell’alimentazione: leggenda metropolitana vuole che Del Bono spesso ceni con patate lesse e verdure scipite, quasi fosse in convento, forse distratto dall’attività febbrile di contrasto-odiatori sui social network. Pare infatti che il sindaco, in questi anni, sconsigliato dagli stretti collaboratori e dalla moglie, il cui compleanno sempre ricorre nei giorni di vittoria del marito (in questo caso, domenica scorsa), si sia personalmente messo a rispondere a tutti i troll che gli capitassero a tiro. “Emilio lascia perdere, non farti il sangue amaro, sono dei minus habens, non ti curar di loro”, gli dicevano. Ma lui niente: rispondeva e rispondeva e rispondeva, tranne che durante l’unica settimana di vacanza agostana in montagna in Val Camonica, a Stadolina, frazione di Vione, luogo dove, dice un bresciano, “il sole arriva se ti va bene per cinque minuti al giorno, più o meno, tra giugno e luglio, ma ci vai lo stesso perché magari i tuoi hanno comprato casa lì negli anni Sessanta, attirati dalla vicinanza: un’oretta di strada e ti ritrovi l’aria buona”.

 

Poi ci sono i fatti: la Brescia dove i Cinque stelle vanno male (non a caso il bresciano senatore e grillino storico Vito Crimi non è stato in prima linea in città nella fase pre-amministrative) e dove Matteo Salvini ha chiuso la campagna elettorale leghista senza però riuscire a sbancare come altrove, nonostante il buon piazzamento (24 per cento), anche dovuto al drenaggio voti da Forza Italia. E il Pd-panda bresciano perché ha vinto, in una delle città del nord produttivo a più alto tasso di immigrazione? “Perché non siamo stati arroganti”, dice Del Bono, “ma anche perché non siamo stati buonisti e abbiamo preso decisioni: integrazione, sì, ma con rigore. Sì agli immigrati lavoratori, no ai delinquenti. Sì a chi prega, no ai radicalismi. Diciamo che forse siamo stati un’offerta convincente, oltre che per l’elettorato di centrosinistra, anche per chi, nel centrodestra, si sente più moderato della Lega e per chi, tra i Cinque stelle, non si trova a suo agio con l’assetto attuale di alleanze”. Fatto sta che, nel giubilo della vittoria, al solitamente controllato Del Bono (a parte qualche piccolo peccato veniale di permalosità), è potuta ben scappare la frase “con questi numeri posso fare il segretario del Pd”, anche se poi in città c’è chi fatica a indicare con certezza l’attuale corrente di appartenenza del sindaco: a un certo punto passato per renziano, era però anche tra quelli che sostenevano di aver votato Pier Luigi Bersani al primo giro di primarie – ma si sa che la verità sta sempre nel mezzo. Fuor di leggenda, Del Bono ha puntato sulla riduzione dell’indebitamento (con l’assessore tecnico al Bilancio Paolo Panteghini, anche professore) e sull’azione di manutenzione, con focus su piano urbanistico e raccolta rifiuti, evitando di toccare le tematiche etiche in una città in cui, a volte, l’elettorato non ha disdegnato le sirene teocon. Si è circondato di uomini-scudo, Del Bono, come il fedelissimo Valter Muchetti, ma in ticket con la vicesindaco Laura Castelletti, opposta per provenienza e complementare per temperamento (meno frugale). Ultimo ma non ultimo, il nuovo Palazzetto dello Sport e il doppio colpo culturale d’immagine e fortuna: l’installazione dell’artista Christo sul lago d’Iseo e le sculture di Mimmo Paladino in piazza a Brescia.

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