Paolo Gentiloni e Carlo Calenda (foto LaPresse)

Nel Pd avanza il fronte di Gentiloni candidato presidente

David Allegranti

Tra i democratici cresce il fronte a favore dell'ex presidente del Consiglio ma anche Carlo Calenda è in campo

Roma. “Il Pd si prepara a votare”, dice Lorenzo Guerini al Foglio. Segno, par di capire, che neanche dalle parti del Nazareno sono disponibili a scommettere sulla durata dell’esecutivo di Carlo Cottarelli, che ieri ha ricevuto l’incarico da Sergio Mattarella. Segno anche che non è chiaro chi lo voterà, questo esecutivo. Resta da capire, e non è di poco conto, come si prepara. A partire dalla scelta del candidato presidente, ora che Paolo Gentiloni e Carlo Calenda sono liberi da incarichi istituzionali. 

  

 

L’ex ministro Calenda ieri su Twitter ha spiegato di essere pronto a candidarsi. “Ci puoi scommettere”, ha risposto a un elettore che lo ha invitato a scendere in campo. Serve, ha aggiunto Calenda, “un Fronte Repubblicano che unisca chi si riconosce nelle istituzioni repubblicane e nella nostra collocazione europea e occidentale. Lista unica e un solo obiettivo: non veder distruggere quello che è stato costruito da tre generazioni di italiani”.

  

 

Ma con il Pd o no? Da quelle parti ha sicuramente un concorrente: Gentiloni. Roberto Giachetti chi preferirebbe? “Io penso in assoluto Gentiloni. Più affidabile sotto tutto i punti di vista”, dice al Foglio. Convinto anche Matteo Ricci, responsabile enti locali del Pd, su Gentiloni candidato. Con l’ex presidente del Consiglio si può costruire un campo “più largo”. Anche Stefano Ceccanti dice Gentiloni, perché ha un “rapporto positivo con il paese”. D’altronde è l’idea anche di un renziano come David Ermini, teorico di un ritorno allo spirito ulivista, come aveva spiegato al Foglio qualche giorno fa. “Abbiamo bisogno di un partito che recuperi i voti della sinistra che sono finiti ai Cinque stelle e che quindi adesso sono finiti in braccio alla Le Pen. Serve un partito però che si apra al mondo più moderato, più centrista. D’altronde che cos’era l’Ulivo se non un raggruppamento elettorale ideale che andava dai centristi alla sinistra? L’Unione fu esageratamente larga, l’Ulivo invece aveva una sua collocazione precisa ed è quella su cui è nato il Pd. Con il sistema elettorale che abbiamo in Italia, l’unico movimento è possibile è l’Ulivo. Se invece ci fosse un doppio turno potremmo ipotizzare soluzioni diverse”. Gentiloni è dunque il profilo giusto. Lo pensa anche Valeria Fedeli, che dice al Foglio: “Gentiloni con a fianco Calenda e, secondo me, due donne che sono oggi in Europa. Una squadra”. Sulla scelta di Gentiloni concorda anche Anna Ascani, che aggiunge: “Il Pd si deve presentare come perno di un fronte popolare a difesa della democrazia. Fare una coalizione con dentro tutti quelli che non vogliono uscire dall’euro”.

 

Ma qualche che sia il nome, argomenta Sandro Gozi, il problema è il profilo politico dello schieramento. Serve, dice al Foglio, un “polo europeista. Sui nomi non ho le idee chiare. Serve persona che spariglia. Il cambiamento ora è ancora più grande e c’è bisogno di idee e di gente nuova”. Le prossime elezioni “saranno ancora di più apertura contro chiusura, euro contro no euro, nazionalismo contro europeismo. Il terremoto del 4 marzo proseguirà. Noi non possiamo rimanere ancorati a un mondo politico che non c’è più. Dobbiamo prendere l’iniziativa per rifondazione, trasformazione e apertura del Pd. Non possiamo pensare di rimanere come siamo e semplicemente indicare uno di noi come capolista, magari col ritorno dei fuoriusciti di Leu con la riedizione del centrosinistra. Dobbiamo andare oltre. Non rimaniamo negli schemi del passato. Quindi anche i nomi devono essere di grande innovazione. E se fosse un nome di donna sarebbe ancora meglio”. Per Davide Faraone l’“opzione europeista” è “attualissima. Come abbiamo detto un po’ di noi, da un lato le forze europeiste, dall’altro populisti e sovranisti. Piaccia o non piaccia, lo scontro sarà questo. Gentiloni, Calenda e Renzi, sono i tre che interpretano al meglio questo sentimento”.

 

Giusto, ma Renzi che fa? Lavora al suo partito (e chissà se vedrà mai la luce: i tempi in politica sono tutto e i tempi non ci sono se si va a votare a settembre) e rivolge appelli alla calma. “Si andrà molto presto alle elezioni – dice Renzi – frutto dell’incapacità di governare di Lega e Cinque stelle. Sarà una battaglia incredibile tra chi vuole uscire dall’Europa e chi vuole un'Italia forte ma dentro l'Europa. Sarà una battaglia tra chi combatte sulla base di fake news e chi porterà numeri, fatti, argomenti. Sarà una battaglia tra chi mette in discussione l'appartenenza atlantica dell'Italia e chi non vuole cambiare una linea di politica estera che l’Italia segue da 70 anni. Sarà una battaglia tra chi scommette sull’antipolitica e chi crede nella politica”.

 

Il Pd per Renzi “non deve perdere neanche un secondo a litigare, ma offrire un’alternativa credibile. Repubblicana. Se gli estremisti vinceranno l’imminente sfida elettorale il conto lo pagheranno le famiglie, i piccoli imprenditori, i giovani, i pensionati, il popolo. E non si deve aver paura di sfidare a viso aperto i diffusori di bugie spaziali”.

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.