Sayyed Hassan Nasrallah

Fausto Biloslavo

A prima vista sembra un bonaccione, un parroco islamico di campagna, sempre vestito in nero e marrone, avvolto nel mantello felpato usato dai mullah in Iran. Un po' troppo in carne, rispetto ai tempi ardimentosi della guerriglia contro gli israeliani che occupavano il Libano meridionale, Nasrallah cerca sempre di ammaliarti con il sorriso.

    Dal Foglio del 23 dicembre 2001

    Sembra una palazzina come tante, immersa nel quartiere sciita di Beirut, uno dei più popolati della capitale libanese. Invece una sbarra in mezzo alla strada e un nugolo di guardie in abiti civili, ma armate fino ai denti, ti fanno capire che sei arrivato al quartier generale dell'Hezbollah, il partito di Dio, portatore del verbo islamico in Libano. Immergersi con le proprie strutture più sensibili in mezzo alla gente è un vezzo dei guerrieri del Corano: così gli odiati nemici israeliani ci penseranno due volte prima di bombardare la loro sede provocando inevitabili vittime civili. L'uomo barbuto all'ingresso ha la sagoma di un armadio, ma i modi gentili di chi rispetta gli ordini di trattare bene gli stranieri. Mentre il guardiano attende paziente il via libera, dopo aver sussurrato incomprensibili frasi in arabo per radio, ci si rende conto che il sistema di sicurezza è degno della Casa Bianca. Una volta ricevuto l'ok si entra nell'edificio grigio e anonimo, alto diversi piani, trovandosi di fronte a un sistema di controllo da aeroporto moderno. Anche se uomini e cose passano ai raggi X bisogna comunque liberarsi di orologi, penne, registratori, macchine fotografiche e qualsiasi aggeggio sospetto che potrebbe nascondere un'arma. Dopo il controllo il materiale indispensabile viene restituito. Ma il resto, come innocui gemelli, resta depositato in una cassetta di sicurezza e ti sarà reso solo all'uscita.

    È la trafila normale per poter incontrare Sayyed Hassan Nasrallah il segretario generale del Partito di Dio, un misto di guida spirituale, illuminato comandante militare e politico levantino. “Le operazioni suicide sono l'arma che Allah concede al suo popolo e l'utilizzo dei kamikaze è l'unico sistema per battere i sionisti”, ha spiegato a metà dicembre arringando a Beirut i giovani volontari che gli sfilavano davanti in una parata anti israeliana. I toni bellicosi usati in pubblico cozzano con i modi gentili e le battute sdrammatizzanti di cui è capace quando concede un'intervista. A prima vista sembra un bonaccione, un parroco islamico di campagna, sempre vestito in nero e marrone, avvolto nel mantello felpato usato dai mullah in Iran. Un po' troppo in carne, rispetto ai tempi ardimentosi della guerriglia contro gli israeliani che occupavano il Libano meridionale, Nasrallah cerca sempre di ammaliarti con il sorriso.

    Barbone d'ordinanza islamica, turbante nero degli eredi del Profeta, ha cambiato da poco i vecchi occhiali con montatura squadrata e pesante con un paio più moderno, ma sempre troppo serio. Dal tazbè, il rosario musulmano, non si separa mai e quando si stanca di snocciolarlo lo tiene appeso al polso. Il suo ossequioso segretario decanta le doti del capo, ma non scende mai nei dettagli. Neppure con l'aiuto dell'ambasciata italiana a Beirut, che intrattiene buoni rapporti con il leader di Hezbollah, siamo riusciti a ottenere una sua biografia.

    La vera storia di Nasrallah è avvolta dal segreto, forse per motivi di sicurezza, forse perché le sue origini non sono abbastanza esaltanti. Difatti è nato in uno sperduto villaggio del Sud del Libano, quarantuno anni fa, figlio di un fruttivendolo che sbarcava a malapena il lunario come tanti suoi correligionari di fede sciita: la fetta di popolazione più povera e diseredata del Paese dei cedri. Il partito di Dio sorge nel 1982 come reazione all'invasione israeliana del Libano, che ottiene la cacciata dei palestinesi da Beirut ma costringe l'esercito ebraico a impantanarsi in una lunga occupazione militare. Il giovane Nasrallah si arruola nelle milizie sciite accusate dagli americani dei primi terrificanti attentati kamikaze contro la propria ambasciata, oltre che contro i marines e alle truppe francesi di stanza nella capitale libanese come contingente di pace. Diventato comandante sul campo di un reparto della guerriglia contro gli israeliani, Nasrallah inizia la sua ascesa all'interno del movimento con l'incarico di ufficiale di collegamento di Hezbollah a Teheran.

    Il giovane combattente, come tutta la minoranza sciita, seguiva i precetti postumi di Imam Musa al Sadr, un religioso iraniano, considerato l'ispiratore postumo del Partito di Dio. Nel 1978 al Sadr sparisce nel nulla a Tripoli, ma il regime del colonnello Gheddafi ha insinuato a lungo che nell'eliminazione del leader sciita ci fosse lo zampino dell'Italia, dove al Sadr avrebbe dovuto arrivare. Dopo questo spiacevole incidente di percorso i miliziani sciiti libanesi diffidano di tutti credendo ciecamente solo nell'Iran della rivoluzione islamica. Non a caso l'attuale guida di Hezbollah si tempra nel mito dell'ayatollah Khomeini e assurge al ruolo di prelato islamico di medio livello. Per assurdo, l'ascesa al potere di Nasrallah è indirettamente favorita da uno dei blitz più spettacolari dei corpi speciali israeliani. Nel 1992 un missile teleguidato lanciato da un elicottero con la stella di Davide incenerisce la macchina blindata sulla quale viaggia Sheik Abbas al Musawi, il predecessore e mentore di Nasrallah. Il Partito di Dio si basa sul principio della “guida” affidata al “wali al faqih”, ovvero un esperto di legge islamica, che conosca anche l'arte della guerra e le trappole della politica. Quindi sono in molti a stupirsi che per il ruolo di nuovo segretario generale venga scelto il poco conosciuto Hassan Nasrallah.

    Con il tempo, però, lo Sheik, come iniziano a chiamarlo i suoi uomini, si rivelerà l'antagonista più abile e pericoloso dello stato d'Israele nel Paese dei cedri. Il leader sciita ottiene dall'Iran finanziamenti per armi e logistica di due miliardi di dollari all'anno e rafforza sempre più i suoi miliziani. Addestrata da un nucleo di Guardie della rivoluzione khomeinista, che hanno piantato le loro basi nella valle libanese della Beeka, sotto controllo siriano, la formazione guerrigliera inquadra 1500 uomini pronti a tutto. Nasrallah insiste sull'efficienza e sulla dotazione di armamenti sempre più sofisticati. Fattori che mescolati alla vocazione al martirio degli sciiti ottengono lo scopo: Hezbollah mette a segno sanguinosi attacchi contro le truppe israeliane di stanza in Libano. Uno stillicidio di azioni che trasformano l'occupazione del paese nel Vietnam dei soldati con la stella di Davide. Nasrallah è l'uomo da abbattere, ma tutti i tentativi per farlo fuori o prigioniero falliscono nonostante gli israeliani siano già riusciti a catturare uomini chiave della rivolta sciita.

    Grazie a spettacolari operazioni è finito in manette nell'89 Sheik Abdul Karim Obeid, leader spirituale degli Hezbollah e nel '94 Mustafà Dirani, alleato di Nasrallah, capo della sicurezza di Amal, l'altra milizia sciita libanese. Per sfuggire al nemico lo sceicco è sempre in movimento, spesso nascosto dai finestrini oscurati di una Bmw, con tre Range Rover di scorta zeppe di uomini armati. Le guardie del corpo, incollate agli auricolari che li tengono in contatto con squadre sciite di pronto intervento, non lo mollano mai e la sua corporatura troppo tozza potrebbe nascondere un giubbotto antiproiettile sotto i vestiti. Fonti diplomatiche garantiscono che abbia al suo servizio pure degli assaggiatori delle pietanze per timore di venire avvelenato.

    Il partito di Dio comunque non demorde e diversifica le strategie. Nasrallah “inizia a concentrarsi più nelle urne, che sulle pallottole”, secondo Nizar Hamzeh esperto libanese del fenomeno Hezbollah. L'abile leader sciita comincia a venir sdoganato dall'etichetta di terrorista dall'ex premier libanese Selim el Hoss e dal presidente cristiano Emile Lahoud. Il Partito di Dio diviene pian piano un movimento rispettato, che investe nel sociale aprendo ospedali, scuole e supermercati con beni di prima necessità a prezzo politico. Da Beirut al Libano meridionale si trova a ogni angolo di strada la foto di Nasrallah e soprattutto la bandiera gialla con un pugno stilizzato che stringe il kalashnikov, simbolo del partito. Piccoli presidi dove giovani volontari raccolgono offerte per i martiri della guerra contro Israele o per le masse dei diseredati sciiti. Nel lungo conflitto contro gli ebrei Nasrallah tentenna, sconvolto dal dolore, solo una volta: nel 1997. Il suo amato figlio, Mohammed Hadi, appena diciottenne muore in una scaramuccia nel Libano meridionale. L'affronto peggiore è che il corpo viene sequestrato dagli israeliani, i quali lo restituiranno solo dieci mesi dopo. Lo sceicco sciita scambia i cadaveri di quaranta miliziani, compreso suo figlio, con un paio di odiati soldati ebrei morti in battaglia. Il giorno del funerale bacia il volto tumefatto di Hadi, giura vendetta eterna e permette al secondo figlio di andare a combattere nel Sud del Libano.

    All'appoggio storico dell'Iran si aggiunge quello della Siria, che controlla militarmente il Libano, sempre intenta a coltivare spine nel fianco di Israele. Nel cuore di Nasrallah, però, batte sempre il vecchio amore per i conservatori iraniani eredi dei dogmi khomeinisti. Vede con orrore l'avanzare dei riformisti iraniani, come il nuovo presidente Khatami, ma confessa la sua posizione oltranzista solo su internet. Nei siti ufficiali di Hezbollah il suo faccione viene quasi sempre accompagnato da quella del falco della vecchia guardia, l'ayatollah Ali Khamenei, del quale copiava la foggia antiquata degli occhiali. Nel maggio del 2000 Nasrallah ottiene l'agognato ritiro degli israeliani dal Libano meridionale e il braccio armato del Partito di Dio entra nel mito (almeno in quello dell'islamismo combattente diventando l'unica formazione militare musulmana vittoriosa contro lo Stato ebraico. Con il successo sul terreno accelera l'offensiva diplomatica per farsi accettare dalla comunità internazionale e riceve gli ambasciatori, nel suo ufficio bunker di Beirut, come se fosse un capo di Stato.

    D'altro canto l'Hezbollah controlla 12 seggi in Parlamento e ne influenza altrettanti a tal punto che una fonte diplomatica a Beirut definisce il Partito di Dio “uno schieramento quasi centrista, che al di là dei proclami bellicosi va a finire che appoggia sempre dall'esterno i governi libanesi”. L'ultima sfida è la scelta di cavalcare la tigre dell'Intifada palestinese cercando di chiudere in un angolo l'anziano leader Yasser Arafat. Ultimamente Nasrallah ostenta in pubblico una specie di sciarpa simile alla kefiah, il copricapo palestinese a scacchi bianchi e neri, ma con la moschea di al Aqsa stampata sopra. Qualcuno dice che sogni di “liberare” Gerusalemme, per diventare il nuovo Saladino.      

    In breve
    Sayyed Hassan Nasrallah è nato 41 anni fa in uno sperduto villaggio del Sud del Libano, figlio di un fruttivendolo. Quando nel 1982, in concomitanza con l'occupazione israeliana, nasce l'Hezbollah, sostenuto dagli sciiti iraniani, Nasrallah si arruola nella milizia. Ne diviene uno dei capi militari. Nel '92, dopo l'uccisione di Abbas al Musawi da parte degli israeliani, diventa il leader del Partito di Dio, oggi rappresentato in Parlamento a Beirut. Nel 2000 l'esercito di Gerusalemme lascia il Libano: per lo sceicco è un trionfo personale.

    Fausto Biloslavo è triestino. Reporter di guerra, ha raccontato l'Afghanistan, i Balcani, il Ruanda, il Medio Oriente.