Walter Rizzetto (foto LaPresse)

Rizzetto, l'ex grillino pontiere tra il M5s e Berlusconi

Valerio Valentini

Il deputato di Fratelli d'Italia è molto attivo nelle trattative riservate e potrebbe portare al centrodestra i voti necessari per nascere il governo: “Nel Movimento il malessere c'è, anche a causa dei personalismi di Di Maio”

Sulle prime, prova a schermirsi. “È naturale che il mio nome circoli, visto il mio passato recente”, dice Walter Rizzetto. Il cui passato recente, come si sa, è stato quello di neofita della politica romana nella pattuglia di pentastellati che nella primavera del 2013 fece il suo primo approdo a Montecitorio. Poi, nel gennaio del 2015, il commericalista friulano, classe '75, abbandonò in polemica il M5s, per confluire in Fratelli d'Italia dopo una sosta momentanea al Misto. Ed è proprio col partito di Giorgia Meloni che il 4 marzo ha ottenuto la rielezione alla Camera. Ma è proprio in virtù del suo passato recente che coi Cinque stelle sa avere a che fare, e dunque è per questo che, appena lo si interpella, tenta di ridimensionare le voci che lo vogliono gran tessitore di trame ancora non del tutto dicibili. Appena si insiste un po', però, Rizzetto sorride con l'aria di chi confermare non può ma neppure si danna l'anima per smentire. 

 

Insomma, Rizzetto, è vero che è lei il regista dell'operazione che punta a convincere vari neo-eletti grillini ad abbandonare il M5s?

“Chiariamo subito: io non faccio scouting. Sono semplicemente, questo sì, uno che parla con tutti, in maniera trasversale, al di là dei gruppi parlamentari di appartenenza”.

 

Ma insomma anche lei la sente, questa “aria di responsabilità”, a Montecitorio?

“Direi che deve esserci sempre una grande responsabilità nei confronti del paese”.

 

Si parla di almeno 15 deputati pentastellati pronti alla diserzione.

“Di voci, in queste ore, ce ne sono tante. Io penso che di incontestabile c'è soprattutto una cosa: e cioè che a vincere le elezioni, il 4 marzo, è stato il centrodestra. E dunque un vero atto di responsabilità sarebbe quello che dovrebbe fare Luigi Di Maio: sedersi intorno a un tavolo con tutti gli esponenti della nostra coalizione, e discutere un programma condiviso per il bene dell'Italia. Il vero Aventino è proprio quello di Di Maio, rinchiusosi nel suo personalismo”.

 

E di fronte a questi tatticismi, immaginiamo, lei ha cercato di capire se c'è del malessere nei suoi ex compagni di Movimento.

“Beh, il malessere lo si percepisce senza neppure grande sforzo. Restare ostaggio dell'ego del proprio capo politico non è mai piacevole. C'è molta gente che vorrebbe cominciare a lavorare, e invece è costretta ad assistere impotente a questi balletti. Poi, è chiaro, con molti esponenti del M5s sono rimasto in buoni rapporti, con altri nuovi arrivati ci parlo come parlo con chiunque”. 

 

Ecco, a proposito dei nuovi arrivati: pare che proprio nelle file degli esponenti della società civile arruolati da Di Maio a ridosso del 4 marzo, i “supercompetenti”, ci sia un po' d'insofferenza. 

“È evidente che l'attivista che milita da anni e arriva in Parlamento al termine di un lungo percorso di partecipazione sente un vincolo di appartenenza e di fedeltà che chi invece è stato fino all'altro ieri in una Università o in un ente pubblico non avverte. Ma è evidente che i patti col diavolo si possono fare solo in nome di intese e convergenze programmatiche. Io mi occupo di lavoro, e sicuramente esistono delle trasversalità, su certi temi, che prescindono dal colore del proprio partito”. 

 

E insomma, se questa inconcludenza di Di Maio si protraesse, qualcuno potrebbe andarsene dal M5s?

“Io mi limito a lanciare un appello a tutti quei pentastellati che non condividono la linea del loro capo politico: uscite allo scoperto, fate sentire la vostra voce e il vostro dissenso. Perché è evidente che il malumore c'è, e cova sotto la cenere”.

 

Ma la comunicazione è proprio uno degli aspetti più delicati, ora.

“Lo so bene. Io quando abbandonai il M5s scrissi a Beppe Grillo per dirgli che era inammissibile una gestione così verticistica della comunicazione. Non si può dover sempre chiedere permesso al cortigiano di turno, prima di esternare una dichiarazione. E di certo questo meccanismo, se è insopportabile per un attivista politico, è ancor più avvilente per chi ha ricoperto incarichi prestigiosi nella società fino a pochissimo tempo fa, e ora si ritrova perfino impossibilitato a parlare pubblicamente”. 

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