Alfredo Bazoli. Foto LaPresse

Alfredo Bazoli ci spiega perché il Pd deve fare il governo con il M5s

David Allegranti

"Abbiamo il dovere di verificare se è possibile trovare convergenza su una piattaforma politica, ma deve essere il Partito democratico a fissare i paletti per un nuovo esecutivo"

Roma. Alfredo Bazoli, deputato del Pd, è un renziano della prima ora. Dice al Foglio. “Sono stato d’accordo al cento per cento con la linea che è stata tenuta finora dal Pd. C’è stata una fase di esibizione e di arroganza muscolare da parte di coloro che sono usciti vincenti dalle elezioni. Si sono spartiti le presidenze di Camera e Senato e le commissioni speciali, lasciando il Pd ai margini. Era quindi assolutamente doveroso stare fuori da ogni tipo di contesa”. Adesso però siamo “alla vigilia di una fase nuova”, dice Bazoli. “Se è vero che il tentativo dei due partiti che sono usciti vincenti di trovare un accordo naufraga, tra i veti incrociati, allora si apre una fase nella quale il Pd deve giocare un ruolo”. Con regole precise e ad alcune condizioni, naturalmente. “Anzitutto, io non vedo possibili governi del presidente o tecnici, cioè governi di tutti. Non ci credo per il semplice fatto che il M5s e Lega non ci stanno. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella può dire quello che vuole, ma se è il M5s e la Lega non ci stanno, perché a loro non conviene, il governo non si fa. E se si fa rischia di essere un governo di minoranza che nasce per la benevola astensione di questi soggetti o diventa un governicchio talmente debole e fragile che mi chiedo se ne valga la pena. In più non vedo attorno a quali capisaldi potrebbe costituirsi: non c’è davanti una stagione costituente di riforme istituzionali, che poi sarebbe l’unico collante possibile”.

 

Tanto più alla luce del delicato quadro internazionale, serve un governo stabile e forte. “E un governo forte non è un governo travicello”. C’è poi un’altra condizioni: questo governo non può nascere senza il M5s, dice Bazoli. “Il M5s non può stare all’opposizione. Ha preso il 32 per cento dei voti, un numero enorme, e questo li mette nella condizione di dover governare. Come diceva Martinazzoli: hanno ragione di governare, ma non hanno tutte le ragioni. Se il M5s stesse all’opposizione gli si sarebbe un’ulteriore arma a disposizione”. Dunque, se a questo punto lo schema cambia e “se l’approccio da parte loro cambia, per cui non siamo più solo una stampella, ma la discussione diventa politica, il Pd ha il dovere di fare una verifica”. In che modo? “Secondo me il Pd deve sedersi a attorno a un tavolo e verificare se è possibile trovare convergenza su una piattaforma politica che però deve prevedere alcuni condizioni e paletti messi da noi”. Dunque sarebbe un governo con “Pd, Cinque stelle e con chi ci sta”. Ma quali sono questi paletti? “Primo paletto: non si interrompa il percorso delle riforme fatto fin qui. Per esempio, il jobs act va completato e corretto ma non smantellato. La riforma del welfare, con il reddito di inserimento, le misure per la disabilità e la non autosufficienza vanno completate e non smantellate. Le alleanze internazionali sono quelle che abbiamo e non ci devono essere ripensamenti e giravolte strane come quelle di Salvini: si sta in Europa con un governo pro Europa e non euroscettico. Pro Europa significa che stiamo con Macron non strizziamo l’occhio a Orban e agli euroscettici”.

   

Questa verifica, aggiunge Bazoli, “dovrebbe contemplare una chiarezza sulle regole di ingaggio: se ci ci siede attorno tavolo lo si fa per un accordo politico, mettendo al bando le stravaganze del web. Il problema del M5s è che è un movimento opaco e non sappiamo esattamente chi, come e perché prende le decisioni. Non sappiamo quando viene decisa la linea politica e da chi. Per sedersi attorno a un tavolo con queste persone serve un accordo e delle regole d’ingaggio chiare tali per cui poi non ci si può trincerare dopo qualche decisione presa su Internet che metta in discussione gli accordi politici. Queste sono le precondizioni per un qualunque dialogo. Inoltre, anche noi dovremmo passare attraverso una verifica da parte dei nostri iscritti”. Bazoli ne è convinto: “E’ un rischio enorme per il Pd, perché rischiamo di essere il vaso di coccio: se le cose vanno bene è merito loro, se vanno male è colpa nostra. Però riflettendo su questo stallo stallo mi sono chiesto se esista un’alternativa migliore per il paese e per il Pd e no, non c’è”.

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.