Perché Pd e Forza Italia sono come i Ds e la Margherita nel 2006

Claudio Cerasa

L’asse tra Di Maio e Salvini ci ricorda che il grande discrimine delle alleanze riguarda l’Europa. Le coalizioni si costruiscono così. Le legislature si governano su questo spartiacque. E forse anche i partiti futuri non potranno prescindere dalla nuova divisione del mondo

Alla fine di questa settimana, quando i nuovi deputati e i nuovi senatori della Repubblica sceglieranno a chi affidare la guida di Montecitorio e di Palazzo Madama, capiremo forse qualcosa in più rispetto al destino che avrà l’unica maggioranza politica presente in questa legislatura, ovvero quella formata da Lega e Movimento 5 stelle (al Senato, la Lega ha 59 senatori, il M5s ne ha 112, sommati siamo a 171, la maggioranza è a 161 e con 171 senatori di maggioranza, volendo, si governa per cinque anni). Dire che questa sia l’unica maggioranza naturale possibile non significa dire che sarebbe la maggioranza che occorrerebbe al paese per avere un futuro più roseo e non ci vuole molto a capire che un governo che punta a demolire tutte le riforme che hanno permesso negli ultimi anni all’Italia di ripartire è un governo destinato a essere il simbolo di una larga intesa dell’irresponsabilità. Ma dire che questa maggioranza sia l’unica che potrebbe aiutare a fare chiarezza nel nostro paese è un ragionamento diverso che merita forse di essere messo a tema. L’unione tra Lega e Movimento 5 stelle, che sul ruolo che deve avere lo stato in economia hanno certamente visioni diverse ma che su Europa, euro, vaccini, pensioni, lavoro, dazi, protezionismo hanno idee piuttosto coincidenti, aiuterebbe l’Italia a diventare una splendida barzelletta europea ma potrebbe essere un sacrificio necessario per provare a fare una volta per tutte chiarezza nel nostro paese.

 

Queste elezioni, anche se Forza Italia ha fatto finta di non accorgersene, hanno dimostrato che il vero bipolarismo oggi non è tra destra e sinistra, e non è neanche tra populisti e antipopulisti, in fondo sono tutti un po’ populisti, ma è, molto semplicemente, tra partiti che vedono nell’Europa un alleato per la crescita e tra i partiti che vedono nell’Europa una minaccia per la crescita. Sappiamo bene che l’antieuropeismo è spesso uno strumento utilizzato con disinvoltura dai partiti di protesta per evitare di affrontare i veri temi che andrebbero messi a fuoco per dare delle risposte serie ad alcuni problemi reali (è più facile parlare dei burocrati europei che parlare delle inefficienze dell’Italia, è più facile parlare dei trattati europei che parlare della non produttività dell’Italia, è più facile parlare del tre per cento che parlare della spesa improduttività dell’Italia). Ma per quanto ci si possa girare attorno la vera divisione del mondo oggi è questa e sarebbe bene accettarla una volta per tutte.

 

La Lega e il Movimento 5 stelle sono due partiti profondamente antieuropeisti (come ha ricordato venerdì scorso sul Foglio il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia). E non c’è “svolta moderata” di Salvini (o di Di Maio) che possa permettergli di cancellare quanto scritto nero su bianco nel proprio programma: “L’euro – ha scritto la Lega – è la principale causa del nostro declino economico, una moneta disegnata su misura per Germania e multinazionali e contraria alla necessità dell’Italia e della piccola impresa. Abbiamo sempre cercato partner in Europa per avviare un percorso condiviso di uscita concordata. Continueremo a farlo e, nel frattempo, faremo ogni cosa per essere preparati e in sicurezza in modo da gestire da un punto di forza le nostre autonome richieste per un recupero di sovranità”.

 

Un governo tra Lega e Movimento 5 stelle rappresenterebbe un grave pericolo per la nostra economia e forse anche per la nostra democrazia – a proposito di sovranismo: l’accordo di libero scambio tra Unione europea e Canada sta facendo bene alle imprese italiane del settore agroalimentare e nei primi tre mesi di vigenza del CETA i risultati, con un export cresciuto in questi tre mesi del 9 per cento, ci dicono che un’apertura dei mercati non indebolisce ma aiuta i nostri mercati. Ma darebbe la possibilità all’Italia di capire in tempi rapidi chi sta dalla parte dell’Europa e chi invece sta contro.

 

Un orrendo governo Di Maio e Salvini – orrendo ma naturale: la democrazia non è come X-factor e chi vota deve avere il diritto di ricordarsi che votare per un partito ha sul paese un impatto diverso dal voto per una band – potrebbe poi aiutare l’opposizione al governo dello sfascio a ragionare definitivamente su un punto politico che ora dopo ora sembra essere sempre meno rinviabile: cosa è necessario fare per evitare che Salvini e Di Maio siano simbolo di un nuovo bipolarismo? I tempi per questo ragionamento non sono ancora maturi ma per rispondere a questa domanda vale la pena ragionare su una serie di punti sollevati mercoledì scorso sul Corriere della Sera da Angelo Panebianco. Panebianco ha riflettuto sul perché, in Italia, “il centro del sistema politico, quello da cui dipende, a ogni latitudine, la stabilità di una democrazia, si sia improvvisamente svuotato”. E nel farlo ha offerto una chiave di lettura interessante. “Lo svuotamento del centro politico, naturalmente, ha anche una causa che con gli errori di Renzi e di Berlusconi ha poco a che fare. E’ quel malessere proprio di tante democrazie occidentali che spinge oggi molti elettori a premiare movimenti di pura protesta, movimenti antisistema. La colpa di Renzi e di Berlusconi è stata quella di non avere agito nel modo più assennato, quando ne avevano l’opportunità, per riformare le regole del gioco in modo da contenere, da tenere a bada, le spinte antisistema”.

 

Panebianco ha ragione quando nota che l’eccezionalità italiana è quella di non avere una casa capace di essere accogliente per tutti gli elettori lontani dal lessico antisistema. Ma il punto che andrebbe approfondito è se il centro politico si è svuotato perché non esiste più o si è svuotato perché non è stato ben rappresentato. E se la risposta a questa domanda è che non è stato ben rappresentato è facile capire che qualora dovesse nascere un governo degli sfascisti un’opposizione seria, matura e responsabile non potrebbe prescindere da un elemento cruciale: evitare di disperdere le energie e creare, tutti insieme, una nuova casa antisfascista. Se è necessario anche con un nuovo partito.

 

Il Pd (18,7 per cento) e Forza Italia (14 per cento) oggi si trovano in una condizione non così diversa rispetto a quella in cui si trovavano Ds e Margherita nel 2006 (che prima di fondersi nel Pd valevano rispettivamente il 17 e il 13 per cento).

 

Immaginare oggi un nuovo soggetto politico è forse prematuro ma se Lega e Movimento 5 stelle dovessero mettersi insieme per andare al governo, Forza Italia sarebbe costretta a rispondere a una domanda: alleandosi con la Lega ha dato la possibilità a un partito che vale meno del 20 per cento di contare come se avesse preso il 36 per cento e forse mai come oggi è evidente che un partito che vuole evitare di mandare al paese i campioni della protesta deve scegliere prima delle elezioni da che parte stare. Il centro politico dell’Italia oggi non è rappresentato ma quando si andrà a rivotare il tema sarà sempre quello: le forze antisistema hanno due case in cui riconoscersi, con tutti gli altri che vogliamo fare? Mettersi in cammino potrebbe essere una buona idea. E costruire due coalizioni sull’Europa forse è il destino inevitabile di questa legislatura.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.