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Come vota il Foglio

Redazione

Intese larghe da Pd a FI, poi +Europa, astensioni, no grillozzi e populisti. Il nostro 4 marzo in grande allegria

Sana e ormai consolidata tradizione, a ogni tornata elettorale questo Fogliuzzo dichiara le proprie intenzioni di voto, e non potevamo saltare l’appuntamento quest’anno, con la campagna elettorale più pazza del mondo quasi al termine. Se avessimo rilevanza statistica, beh, il 5 marzo i risultati elettorali sarebbero abbastanza chiari. Ma andiamo con ordine. Il direttore del Foglio, Claudio Cerasa voterà, nel collegio Roma 1, “Gentiloni e Bonino”, e voterà Pd perché “ha governato bene e perché è importante tenere il più lontano possibile dal governo i pericolosi anti europeisti, gli estremismi nazionalisti, i dannosi protezionisti per far nascere una coalizione di buon senso, popolare e non populista, insieme con il Cav, alternativa allo sfascismo grillozzo e salviniano”.

 

Il fondatore del Foglio, Giuliano Ferrara: “Io casa pound o casa euro, sono ancora indeciso”. Molto più deciso pare il vicedirettore Maurizio Crippa: “Non ho capito, e ci ho provato, quale sia l’eccezionalità di queste elezioni inutili come il vaccino del morbillo. L’importanza di questo voto programmato per uno zero a zero che consentirà il passaggio del turno al governo che c’è già da cinque anni. Perciò domenica va così. Belle mostre di arte contemporanea (neve permettendo). La sera derby, andrà peggio che manco le elezioni per Renzi. Serenamente sperimento il magnifico diritto civile all’astensione”.

 

Giuseppe Sottile: “Berlusconi sparatissimo”. Andrea Marcenaro, senatore del Foglio, ci spiega come vota un politologo: “Ho la fissa della Grande riforma. Non ho avuto la Grande riforma con Craxi: traditore della sinistra. Con Berlusconi: demonio della sinistra. Con Renzi: cancellatore della sinistra. Il primo è morto come è morto. Il secondo, il 4 dicembre ha fatto il Salvini. S’era offeso, e vabbè. Il terzo ce l’ha fatta grossa due volte. La prima si sa. Doveva almeno dedicarci la campagna elettorale, a noi del quaranta per cento: invece s’è distratto. E perderà. Ma lo perdono: alla Camera e al Senato. Che poi, a dirla tutta, chi sta antipatico a Mentana a me fa sangue”. Annalena Benini vota “all’uninominale: Bonino al Senato e Gentiloni alla Camera. Nel proporzionale due X sul simbolo di +Europa”. Piero Vietti è “felice di potere tornare a votare centrodestra: lo farò tifando realisticamente per un governo di larghe intese: croce sul simbolo di Noi con l’Italia, cuore con il Cav. e speranza che il Pd non perda troppo”. Salvatore Merlo voterà +Europa, e pure Eugenio Cau, mentre David Allegranti argomenta: “Sono un astensionista attivo e un anarchico di destra. Sicché, come al solito, non voterò”.

 

Idem Giulia Pompili: “Tradizionalmente astensionista, ma forse faccio un’eccezione domenica: c’è il serio rischio di lasciare il paese ai trogloditi”. Chiarissime paiono le cose dagli Esteri di Paola Peduzzi: “Sarà che non ho ancora digerito la Brexit e Trump, ma il voto schizzinoso, svogliato, per dare un segnale (ma a chi?), col naso turato, sognando chissà quali alternative, non fa per me. Voto Pd, a occhi aperti”. Marianna Rizzini, invece, la butta sul fato: “Diciamo che sono stata fortunata con i nomi: Roma 1, ho Gentiloni alla Camera, Bonino al Senato”. Molto distante da Matteo Matzuzzi che voterà “Forza Italia anche per fermare l’ascesa del guitto Salvini e auspicando il fallimento totale e definitivo di Emma Bonino, portatrice sana di disvalori”. Da New York, Mattia Ferraresi vota “centrodestra a naso turato nell’impresentabile circoscrizione estero, vincendo la tentazione dadaista di votare la leggendaria lista Free Flights to Italy”.

 

Pure Michele Masneri è negli Stati Uniti, e quindi non vota: “L’anno scorso votai per corrispondenza al referendum. Voterei chiaramente Pd”. Nicola Imberti vota “Noi con l’Italia-Udc, perché non mi rassegno a un centrodestra a trazione Lega-FdI”, mentre Giulio Meotti non voterà: “Per non dover scegliere fra le pompe di bicicletta di ‘Più Africa’, le commissioni d’inchiesta fake sulle fake news e gli animalisti di destra drogati di debito pubblico”. La criticona Mariarosa Mancuso è cittadina svizzera: “Per noi sarà giorno di votazione per il referendum che propone l’abolizione del canone radiotelevisivo”. Pietrangelo Buttafuoco risponde con una domanda: “Come fare il più possibile danno a Matteo Renzi affinché se ne vada con gli amici suoi del Giglio lontano, a zappare l’orto di Michelle Obama e tornare solo per pulire le scarpe una volta al mese a Denis Verdini, l’unico meritevole di rispetto tra questi nazareni?”.

 

 

Di Adriano Sofri potete leggere nella Piccola Posta, Vincino nella vignetta qui sopra. Giovanni Battistuzzi ha le idee chiare: “Mi asterrei volentieri, annullerei la scheda come ho (quasi) sempre fatto. Ma voto Bonino, per una volta abbastanza convinto, per una serie di sentimentalismi antichi che non vi starò a dire. Soprattutto perché è meglio un marxista per Tabacci che un pirla per Salvini”. Roberto Raja fa parte di “quelli del collegio Roma 1” (“si chiama collegio?”), ed è deciso su Gentiloni (alla Camera) “e al Senato sempre Pd”.

 

C’è poi Maurizio Milani (anzi Barcellesi Carlo), vabbè l’innamorato fisso, che ci fa un “ragionamento molto completo sulle intenzioni di voto”: “Voto Forza Italia! Perché è l’ideale continuazione della Democrazia Cristiana di Amintore Fanfani. L’Italia era dopo Usa, Giappone e Germany, la quarta potenza industriale. Al mondo. Precedeva Francia e Gran Bretagna”. Antonio Pascale vota “Pd. Senza preferenza”. Camillo Langone voleva votare Lega, ma poi ha deciso: “Non andrò a votare. Volevo votare Lega ma la voglia mi è passata quando ho visto che nel mio collegio questo significherebbe votare due donne, una alla Camera e l’altra al Senato: e non è che per contrastare l’africanizzazione posso diventare complice della femminilizzazione. A togliermi d’impaccio è arrivato un impegno lontano da casa: di sicuro domenica non perderò la messa né violerò i limiti di velocità per rientrare in tempo e magari contribuire, per qualche perverso gioco dei resti su base nazionale, all’elezione di Giulia Bongiorno”.

 

Secondo Guido Vitiello “molti elettori – è anche colpa del Rosatellum – s’illuderanno di giocare a carambola: lancio il mio voto-palla su X, così da dare una spintarella di sbieco a Y, punire le malefatte di Z e contenere l’avanzata di W. La verità è che, a questo giro, prevedere gli effetti del voto è praticamente impossibile. Metafora per metafora, al tavolo da biliardo preferisco il tavolo da pranzo. E dico che qualunque pasticcio sforneranno le cucine parlamentari dopo il 4 marzo, è bene che ci sia dentro qualche ingrediente di prima qualità. Per questo voto +Europa”. Cristina Giudici voterà Pd “sia alla Camera, sia al Senato. Con molte riserve, ma lo farò per cercare di arginare il populismo. Spero in un miracolo, nel frattempo mi preparo al peggio”. Maurizio Stefanini si definisce liberale “storico”, e quindi “+Europa, tutta la famiglia peraltro”, cioè +4 voti.

 

Valerio Valentini non potrà votare, perché si trova a settecento chilometri dal suo seggio, ma “se avessi potuto, senza troppa convinzione, alla fine avrei scelto +Europa, più per esclusione che non per entusiasmo. Mi sembra, tra le pochissime proposte non surreali di queste elezioni, quella che più di altre può contribuire a un riformismo laico, con un rinnovato impegno nel campo dei diritti civili”. Massimo Bordin non ha ancora deciso come votare “e credo di non essere il solo. Voterei Pd, come ho fatto per le europee, ma c’era la preferenza. Abitassi in centro non avrei problemi, voterei Gentiloni. Abito fuori le mura e con la candidatura che mi propongono proprio non ce la faccio. +Europa? Non amo le zie. Specialmente se mi spiegano che non è il momento di comprare il motorino al nipote. Mi viene l’impulso di comprare una Harley-Davidson. A debito. Quelli di Potere al Popolo sarebbero simpatici. Hanno un ottimo programma sulla giustizia e sono riusciti a liberarsi di Falcone&Montanari. Non è poco ma di fronte al Venezuela, alla nazionalizzazione dell’Alitalia e a Cremaschi candidato, capisco che è un amore impossibile. Credo che finirò per non votare, sperando vilmente che i barbari non prevalgano”.

 

Simonetta Sciandivasci è scissa: “‘Più Europa!’, penserò, con trionfante convinzione, andando al seggio. Poi, in cabina, mi dirò che gli affluenti affluiscono fintanto che c’è un fiume e allora è meglio garantire il fiume: a Emma baderà qualcuno più giovane e ardimentoso di me. Gentiloni first, Gentiloni bis e dimmi che non vuoi morire”. Renzo Rosati dice laconico: “Gentiloni alla Camera e Bonino al Senato. Europa e Stabilità”. L’economia del Foglio, Alberto Brambilla, dichiara: “Il mio voto è un tributo alle carriere di Berlusconi e Bonino tatticamente anti sovranista e anti tassa-e-spendi (forse): Forza Italia alla Camera, +Europa al Senato”. David Carretta da Bruxelles voterà +Europa “Tutto il resto è noia: l’antieuropeismo è il mainstream”. Giuseppe De Filippi, invece, la spiega con calma, quindi mettetevi comodi: “Non interromperei l’emozione dei governi Renzi-Gentiloni (con contorno di ministri in gamba) quindi il mio auspicio attivo va verso la coalizione lib-lab scoutistica macroniana. Con astuzia rosatellica e un solido ragionamento matematico, oltre che con una sapida dose di azzardo, il mio voto andrà alla lista animata da Beatrice Lorenzin. Il punto è che nel suo caso (l’ho tra l’altro molto apprezzata nella determinazione pro-vax e in generale nella politica sanitaria) il singolo voto marginale, quello che fa scattare l’agognato 1 per cento, diventa un super voto e dà la sensazione inebriante di aver trascinato con sé altri 300.000 e passa coraggiosi lorenziniani. Certo, c’è il rischio invece di buttare tutto non arrivando all’1 per cento, ma lì c’è il gusto dell’azzardo. Mentre in caso di successo si sarà contribuito a dare il suo merito a una parte politica e nello stesso tempo si sarà portato un 1 per cento in più da ripartire proporzionalmente sul montante del Pd e molto probabilmente anche di +Europa (che sembra destinata a superare il 3 per cento e quindi a partecipare alla redistribuzione). E c’è il gusto minoritario di sapere che per contrastare ogni singolo voto lorenziniano ne servono più di 99 contro: vista così sembra possibile (in altri tempi, con i famosi apparati di partito, il Pd avrebbe organizzato un chirurgico travaso di suoi fedeli votanti per dare la certezza alla lista alleata di raggiungere l’obiettivo, ma temo che quei tempi e quelle capacità organizzative appartengano al passato)”.

 

Da Parigi, Mauro Zanon vota 10voltemeglio, partito di “giovani startuppari molto macronisti”, e li vota “perché sono autenticamente liberali, mettono al centro il merito e la competenza in un momento in cui è in crisi e primeggia l'idea pazzotica e pericolosa dell'uno vale uno”. Andrea Affaticati vota +Europa, mentre da Bangkok Massimo Morello fa sapere di non aver ancora consultato il suo indovino di fiducia. Umberto Silva particolarmente lirico e ispirato: “Al vuoto voto pongo il veto. Va! Semmai volto fuggisse e vento: Maria Elena B.”. Sergio Soave sarà all’estero “e non posso rientrare per votare, quindi non voterò”, mentre Francesco Maselli tornerà in Italia “apposta per votare +Europa sia alla Camera sia al Senato. Un gollista che vota radicale, miracoli della confusione della politica italiana”. Marco Archetti voterà “+Europa, perché credo che non parlarne o, addirittura, volersene allontanare, significhi stare fuori dalla Storia, dalla cultura e dall’intelligenza della realtà. La voto ancor più volentieri perché non sottrarrò voti al Pd, il cui europeismo vorrei, appunto, attizzare”. Manuel Peruzzo idem: “Silvio ha fatto una bella isola, ha l’X-Factor, mi è arrivato. Se dovessi votare per simpatia voterei lui. Ma ho troppa paura di trasformarmi in un ex radicale convertito, e sappiamo che brutta fine sarebbe, quindi rimango fedele alla nicchia di liberali di sinistra e scelgo +Europa”.

 

Secondo Andrea Minuz “l’emergenza fascismo è avvincente ma non la capisco, l’immigrazione è ingestibile ma non mi spaventa, il Venezuela è bello ma non ci vivrei. Un conto è il voto (Pd), altro è la speranza (grande coalizione, governo tecnico, Gentiloni bis, tris, Gentiloni IV… continua)”. Stefano Cingolani, per sua stessa ammissione, ama “essere in minoranza, quindi non posso che votare per il Pd di Renzi”, apprezzando “quel che voleva fare e non gli è riuscito”, tipo la riforma costituzionale, “e quel che ha fatto”, tipo “la riforma del mercato del lavoro Il resto è silenzio, anzi no, molto rumore fuori scena”. Fabiana Giacomotti dice che “a Milano viviamo il riflesso della gestione della città sul voto nazionale. Abbiamo avuto due ottimi sindaci di centrosinistra, tolta una gestione un po’ faticosa del fenomeno immigratorio, ma la città è in pieno rilancio. Vorrei replicare su scala più estesa”. E quindi, nel collegio 1 di Milano non ha dubbi: “Coalizione di centrosinistra alla Camera. Sono un po’ perplessa sull’uninominale al Senato”. Mario Leone ha “un’unica certezza: mai i 5 Stelle”. Antonio Gurrado vota “pensando non alla legislatura entrante ma a quella successiva: oggi per la prima volta sono indeciso fra quattro simboli – Pd, Civica Popolare, Udc e Forza Italia – non perché tentenni ma perché so che nel 2023, dopo avere ben governato insieme per cinque anni, saranno lo stesso unico partito”.