Luigi Di Maio (foto LaPresse)

Gruppo Misto GOI

David Allegranti

I candidati massoni nel M5s avevano superato il filtro di Di Maio (e non è vero che si ritirano)

Roma. “Chi urla odio razziale, chi usa espressioni omofobe, chi è iscritto alla massoneria, chi nella propria vita ha portato azioni indecenti non si può candidare col M5s”. Luigi Di Maio, a fine gennaio, ha usato lo spauracchio della massoneria, impropriamente associata a razzisti e omofobi, per presentare “il meglio dell’Italia”. I candidati scelti, ha detto Di Maio annunciando le liste, “non sono semplicemente persone competenti, ma super competenti. Sono cittadini che hanno una storia, che hanno portato avanti delle battaglie per il loro territorio. Sono professionisti, imprenditori, professori, campioni dello sport e del sociale, medici, rappresentanti di associazioni, militari, giornalisti, ricercatori. Il meglio dell’Italia”.

 

Improvvisamente, però, quei candidati sono diventati il peggio dell’Italia solo dopo che è stata scoperta la loro affiliazione. Non è la prima volta che un partito cerca di criminalizzare la massoneria. Già era accaduto nel 1925, con una legge fascista che ne sancì la messa al bando, contro la quale si schierò Antonio Gramsci. Comunque, il “filtro qualità” di Di Maio non deve aver funzionato molto bene: i candidati iscritti alla massoneria, in attività o in sonno, finora scoperti, sono tutti candidati all’uninominale: Piero Landi, svelato dal Foglio, a Lucca; Catello Vitiello, svelato dal Mattino, a Castellammare di Stabia; Bruno Azzerboni a Reggio Calabria. Ieri il Corriere Romagna ha riferito anche dell’avvocato David Zanforlini, candidato all’uninominale a Ravenna. “L’avvocato – scrive il quotidiano – avrebbe avuto un ruolo preminente di maestro venerabile nella propria loggia e di giudice circoscrizionale del Grande Oriente d’Italia dell’Emilia Romagna fino alla decisione di andare in sonno”.

 

Stefano Bisi, Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, interpellato dal Foglio, risponde così: “Non posso confermare né smentire”. La stessa formula usata per il caso di Piero Landi, iscritto alla loggia Burlamacchi, entrato in sonno il 5 febbraio. “Quando ho firmato il patto per la candidatura – si difende Zanforlini – mi è stato chiesto se ero nella massoneria e ho risposto di no”. E per quanto riguarda il passato, Zanforlini risponde così: “Esiste una regola di riservatezza”. Insomma, “non voglio creare danno al movimento, valuterò se ritirare la mia candidatura”. In un’intervista a Estense.com dice di non essere attualmente iscritto a una loggia, ma questo non significa naturalmente che non lo sia stato in passato e che adesso sia in sonno, come suggerisce lo stesso Zanforlini: “Mi sento come un ebreo, un nero, un comunista, un gay. Non sono un massone, ma non rispondo sul passato, non è eticamente corretto, potevo essere anche Belzebù, ma non deve interessare, se no torniamo all’Inquisizione”. Per la verità, l’unica Inquisizione è quella del M5s, che per principio ghettizza i massoni.

 

La candidatura di Zanforlini e le altre sono state scelte dallo stesso aspirante presidente del Consiglio – non attraverso la lotteria delle parlamentarie – che per settimane ha analizzato elenchi e candidature, alla ricerca delle cosiddette “mele marce”. Ma almeno in questo caso, a differenza di chi ha fatto il furbo con i rimborsi, non c’è nessuna mela marcia: essere iscritti alla massoneria non è un crimine. Poi il fatto che questi iscritti, in attività e “quotizzanti” o in sonno, decidano di partecipare alla vita politica di un partito che è contro i massoni è un altro discorso e la dice lunga sull’opportunismo di certe candidature, che hanno scelto il M5s come un taxi. “Li denuncerò personalmente come capo politico per danno d’immagine al M5s”, dice Luigi Di Maio, che spiega di voler chiedere ai tre candidati iscritti alla massoneria di presentarsi “in Corte d’Appello e di rinunciare alla proclamazione”. Le cose però non stanno così, spiega il costituzionalista Stefano Ceccanti al Foglio: “E’ pacificamente evidente che i candidati si possono ritirare solo prima che la lista venga accettata dall’ufficio elettorale circoscrizionale. Dopo le porte sono chiuse. Adesso non è più possibile sostituire nessun candidato”.

 

I Cinque stelle comunque, stando a quanto riferisce l’Ansa, sono “tranquilli”. E pure qui la vicenda è surreale: adesso che i candidati sono stati marchiati con etichetta di massoni, si scopre che Landi, Vitiello e Azzerboni non sono competitivi. “I tre, nei loro collegi di appartenenza è molto improbabile che siano eletti”. Diversi i casi di Carlo Martelli, Andrea Cecconi o altri, che sono capilista al proporzionale e hanno quindi il collegio sufficientemente sicuro. “Questa vicenda mi ha destabilizzato e mi prendo qualche giorno di tempo per decidere il mio futuro”, dice Landi in un lunghissimo comunicato in cui ammette di aver sbagliato e spiega di aver scritto quel post su Facebook contro mafie e massoneria “su richiesta di alcuni attivisti”. “In sincerità – dice Landi – non avrei dovuto accettare di pubblicarlo, ben sapendo che la massoneria che io ho conosciuto, non solo è lontana dalla mafia ma la condanna apertamente e senza indulgenza”.

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.