Così Renzi dribbla il gommone coalizionista e punta sull'immigrazione

David Allegranti

"Mettere un limite all'accoglienza è buon senso, non è di destra". Ma la minoranza non vota la mozione del segretario

Roma. La prima direzione del Pd in epoca renziana senza streaming online, con divieto pubblico del presidente Matteo Orfini rivolto agli astanti di twittare e di fare post su Facebook, diventa una lunga diretta via sms fra Largo del Nazareno e l’esterno. I dispacci del fronte consegnano un rinnovato duello fra Matteo Renzi e il riottoso (ex?) compagno di avventure politiche Dario Franceschini sulle alleanze, con reciproco scambio di battute avvelenate: “Io rispondo ai cittadini che hanno votato alle primarie, non ai capicorrente”, dice il segretario. “Un segretario ascolta la comunità, la tiene insieme con pazienza, senza vedere dietro il pensiero di chi la pensa diversamente un tradimento o un complotto”, risponde il ministro. Insomma, lo streaming non c’è, ma i popcorn abbondano: alla fine Franceschini e i suoi votano sì alla relazione del segretario, mentre le minoranze che fanno capo ad Andrea Orlando e Michele Emiliano non partecipano al voto. Ma in mezzo al guazzabuglio coalizionale (sì, no, forse), Renzi dice, e qui sta la notizia, che la prossima campagna elettorale, ma non solo quella, si giocherà molto sul tema dell’immigrazione. Segno che il segretario del Pd intende duellare direttamente con la destra salviniana e con il M5s: “Il tema dell’immigrazione – scandisce – ce lo portiamo dietro per i prossimi 10 mesi di campagna elettorale, tutti i santi giorni. E ce lo portiamo dietro per i prossimi 10 anni”, aggiunge il segretario, proprio mentre a Tallinn è in corso il vertice dei ministri dell’Interno sulla questione. “Io ho scritto un libello in cui mi sono particolarmente esercitato sul tema dell’immigrazione (si chiama ‘Avanti’, lo pubblica Feltrinelli, ed esce il 12 luglio, ndr). Ci sono almeno una ventina di pagine su questo. Perché penso che sia il tema sul quale si giochi una riflessione che vada molto oltre l’immigrazione. Riguarda l’identità culturale. Ritengo che la parola identità sia una parola positiva, di sinistra. Ritengo che noi dobbiamo investire in cultura. ‘Un euro in cultura uguale un euro in sicurezza’ deve diventare una battaglia del partito a livello europeo, non soltanto a livello italiano. Ritengo che si debba andare avanti sullo ius soli e che si debba chiudere il più velocemente possibile, perché è un principio di civiltà. Contemporaneamente dico che il limite all’immigrazione non è che ce lo diciamo adesso perché lo ha detto Bill Gates, è un dato di fatto doveroso: l’idea di mettere un numero oltre il quale non possiamo più accogliere è un principio di buon senso, non di destra”.

   

La linea, insomma, è tracciata. E se il dibattito del Pd sulle coalizioni non interessa al segretario, che al massimo fa l’occhiolino a Berlusconi (“Deve decidere se fa il capo del Ppe o il capo di una coalizione in cui ci sono i populisti”) la questione interessa molto invece agli avversari interni. “Il tema alleanze nelle sedi di partito dobbiamo porcelo”, dice Franceschini, ministro ed ex segretario del Pd. “E’ difficile che uno schieramento da solo abbia la maggioranza e ancora più difficile che un partito da solo possa avere il 51 per cento dei seggi sia alla Camera che al Senato. La Dc non solo quando aveva la maggioranza assoluta ha scelto di governare con i partiti minori, ma in tutte le elezioni, con un proporzionale puro, non è che bastonava i repubblicani o i liberali: cercava di aiutarli a entrare in Parlamento perché sapeva che dopo gli sarebbero serviti per formare un governo”. Pure il collega di governo, titolare della Giustizia nonché avversario di Renzi al congresso, Orlando, insiste sull’argomento: “Io sono convinto che dobbiamo aiutare Pisapia e tutte le forze che non hanno impostato la loro linea sull’antirenzismo. Io sono convinto che li dobbiamo aiutare con un’iniziativa di carattere unitario”. “Capisco – replica il segretario – che tu voglia aiutare Pisapia ma io voglio aiutare il Pd. Vogliamo fare campagna elettorale per il Pd o parlare degli altri?”. Insomma, nel Pd si predica l’unità ma il primo ad aver necessità di ritrovare l’armonia è proprio il partito di Renzi. 

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.