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Il futuro dietro le spalle dei centristi

Maurizio Crippa
Barbarie, ha detto Angelino Alfano, toccato nel vivo non soltanto della politica ma anche degli affetti famigliari: “Siamo di fronte al riuso politico degli scarti di un’inchiesta giudiziaria”. E’ probabile che non abbia torto.
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Barbarie, ha detto Angelino Alfano, toccato nel vivo non soltanto della politica ma anche degli affetti famigliari: “Siamo di fronte al riuso politico degli scarti di un’inchiesta giudiziaria”. E’ probabile che non abbia torto. Detto questo, e lasciate da parte le inevitabili, seppur quasi mai giustificabili, ricadute che la polvere giudiziaria porterà, sui giornali e nei corridoi parlamentari è tutto un gran parlare dell’imminente “esplosione di Ncd”. La quale, seppure avvenisse, in un paese normale dovrebbe avere le conseguenze minimali che ha nell’universo lo spegnimento di una nana bianca, stella di piccole dimensioni a bassissima luminosità. Lo scisma nel partito è evidente già da tempo. Da una lato i risolutamente governativi (“responsabili”, nel gergo) schierati con il leader-ministro: da Fabrizio Cicchitto a Sergio Pizzolante. Dall’altra chi punta al rientro nel centrodestra: dai capigruppo di Senato e Camera, Renato Schifani e Maurizio Lupi, a Maurizio Sacconi, a Roberto Formigoni. Giuseppe Esposito, schifaniano, ha rilascito un’intervista: “Dobbiamo uscire dal governo. Quando? Già domani. Renzi non reggerebbe? Non è un mio problema”.

 

Fin qui, appunto, sarebbe lo spegnersi di una lampadina. Ma ciò che ruota attorno alla crisi del Nuovo centrodestra è di più. Da un lato, c’è un problema per il governo: i voti di Ncd, come dei verdiniani e dei vari cespugli responsabili, si fanno vieppiù cruciali; inoltre Renzi non può permettersi defaillance di alleati sul fronte referendum. Allo stesso tempo, il potere di veto o condizionamento di questi satelliti sulle scelte del governo appare sempre più residuale (dalla Cirinnà alle banche all’Italicum, per intenderci). Ed è sempre più evidente che, in chiave elettorale, l’utilità di coalizioni che annoverino i cespugli è dubbia (il caso Verdini alle Amministrative), mentre la prospettiva di un centro autonomo è semplicemente fallimentare: il tripolarismo oggi lo determina la forza del M5s. Sul fronte opposto, anche Silvio Berlusconi sta facendo i conti sull’utilità o meno di riabbracciare i centristi: pensare a un polo moderato è una cosa, chiudere la porta a destra un’altra. L’impressione è che la stagione politica delle rendite di posizione dei centristi – e non solo di Ncd, va da sé – sia ai titoli di coda. Quello spazio di manovra non c’è più, il nuovo quadro politico e gli umori dell’elettorato presentano il conto.

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