Marco Pannella durante l'Israele Day nel 2002 (foto LapResse)

Marco, uno e centomila

Pannella nella frontiera più estrema d'europa: Israele

Giulio Meotti
Secondo Pannella, “Israele è l’avamposto della democrazia in medio oriente” e per questo gli stati arabi che lo circondano lo vogliono “eliminare chirurgicamente perchè ne hanno paura come di un tumore democratico”. Pannella aderì al decennio di campagne del Foglio in favore dello stato ebraico e difese apertamente il sionismo.

Il primo grande gesto di Marco Pannella a favore di Israele risale al 1986, quando con il Premio Nobel Elie Wiesel vola a Gerusalemme a perorare l’emigrazione degli ebrei sovietici, rinchiusi nei manicomi e nei Gulag. La moglie di Nathan Sharansky, Avital, in segno di riconoscenza si iscrisse al Partito Radicale assieme ad altri venti ebrei russi. A Roma, Pannella aveva indetto una manifestazione anche di fronte all’ambasciata sovietica di Via Gaeta per protestare contro la repressione degli “ebrei del silenzio”. L’ambasciatore d’Israele a Roma, Naor Gilon, ha ringraziato così Pannella: “Per l’amicizia con Israele anche quando era difficile e voi radicali eravate isolati per questo”. E il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Renzo Gattegna, ha detto che “con Marco Pannella scompare un grande amico di Israele e del mondo ebraico”. Forse uno dei pochi, assieme a Ugo La Malfa e Giovanni Spadolini.

 

Nel 1988, durante la Prima Intifada, Pannella chiamò addirittura a raccolta i membri del consiglio federale dei Radicali in un grande albergo di Gerusalemme. Fu quando tutto il mondo cominciò ad associare Israele al colonialismo che Pannella ebbe il genio di riconoscere che “se Israele si fosse ritirato dai Territori dieci o vent’anni fa, vi si sarebbero verificati orrori e stragi e lo stesso Arafat avrebbe chiesto asilo in Israele”. Passano gli anni, è la Seconda Intifada, ben peggiore della prima, e Pannella torna a Gerusalemme in segno di solidarietà con Israele. Stavolta fece visita a un luogo simbolo del terrorismo dei kamikaze assassini: il Moment Caffè, subito dopo un attentato suicida che si era portato via dodici giovani ebrei. Nel visitare il caffè, Pannella si allacciò la bandiera israeliana al petto, mentre i voli da e per Israele erano vuoti, abbandonati. “Israele è una marca di frontiera dell’Europa” disse il leader dei Radicali. E propose di far entrare lo stato ebraico nell’Unione europea, “l’unica possibilità di andare a una rivoluzione democratica in tutto il medio oriente. Israele può forse rappresentare lo 0,2 per cento dell’intera superficie del medio oriente, ma gli stati arabi guardano a Israele come a una specie di melanoma mentre in realtà ciò che temono è la sua democrazia”.

 

Secondo Pannella, “Israele è l’avamposto della democrazia in medio oriente” e per questo gli stati arabi che lo circondano lo vogliono “eliminare chirurgicamente perchè ne hanno paura come di un tumore democratico”. Pannella aderì al decennio di campagne del Foglio in favore dello stato ebraico e difese apertamente il sionismo, ricordandone le “radici profondamente umanistiche”, dicendo di averne mai tollerato l’assimilazione all’imperialismo, come aveva fatto l’Onu. L’Europa era in piena ondata pacifista e Pannella ricordò come a volte il pacifismo delle democrazie si fosse dimostrato “vile” come nell’Europa del 1939 che non seppe opporsi ad Hitler e tradì gli ebrei. Pannella disse di “ribellarsi” a quel pacifismo per cui “un arabo, un palestinese diventa un uomo solo se ha la fortuna di incontrare una pallottola israeliana”. La sua battaglia per Israele aveva qualcosa di prometeico, di impossibile, di utopistico, dall’adesione di Gerusalemme alla Ue all’idea di “israelizzare il medio oriente” (la Ue oggi marchia i prodotti israeliani e il medio oriente rigetta la sola presenza ebraica). Ma fu straordinario proprio per questo, Marco Pannella, perché in un’Italia e in un’Europa pilatesca, che si lavava le mani sulla sorte degli ebrei oppure li demonizzava, lui scelse di diventare il portabandiera delle ragioni di Israele. Per questo Pannella manifestava affinché gli fosse riconosciuta la sua vera nazionalità: quella israeliana. Per questo i suoi Radicali esponevano sempre tre drappi agli eventi ufficiali: italiano, americano e israeliano. Per Pannella era questo il minuscolo stato ebraico coi suoi mille chilometri stretti fra il mare e cinque nazioni ostili, ottanta volte più vaste e venti volte più popolate: “la frontiera più estrema di trecento milioni di europei”. Per questo andava difesa.

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  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.