Foto pubblicata sul blog di Beppe Grillo a proposito del "consumo del suolo"

Confutazioni del terrorismo grillino sulla nuova bestia nera, il "consumo del suolo"

Mirko Teramo

I dati manipolati un po' così, lo spettro di un reaganismo urbanistico che non esiste, la mostrificazione del privato sempre e comunque. Almeno, però, si parla di una legge finora sottovalutata.

Per Paolo Berdini, "la legge cosiddetta sul consumo del suolo" non s’ha da approvare. Non è vero, sostiene lo scrittore e urbanista sul blog di Beppe Grillo, che il testo in questione difende il suolo. “In realtà dà l’ulteriore colpo” del quale non ci sarebbe bisogno visto che l’Italia “ha il doppio del consumo di suolo rispetto all’Europa”. Il dato relativo alla percentuale di suolo coperto in Italia – che dà conto del dato storico e non delle tendenze in atto – è pari a 7,8 per cento, contro il 4,6 per cento della media dei 28 paesi della Ue, e colloca il nostro paese ben al di sotto di paesi come l’Olanda ed il Belgio, in una posizione analoga a quella di Germania (7,7 per cento) e superiore ad altri grandi paesi, sopra la media, come la Francia, il Regno Unito rispettivamente 6,5 per cento e 5,8 per cento. Senza contare che sempre dati ISPRA alla mano, se guardiamo alla superficie coperta dalle aree urbane la differenza tra l’Europa ed il nostro paese è dell’1 per cento (4 per cento in Europa e 5 per cento in Italia).

 

Ma se fin qui siamo sul piano della legittima manipolazione dei dati, quando inizia a parlare della legge, il professore perde ogni freno inibitorio. In un post pubblicato nel sito del Movimento 5 Stelle, parla del testo sul cosiddetto consumo di suolo approdato alla Camera con lo stesso metodo utilizzato per descrivere i diabolici – a suo dire – disegno di legge Lupi oppure decreto Sblocca Italia. Berdini scrive, infatti, che grazie a questa legge “chi ha un’area agricola con questa legge metterà a profitto quello che vuole” e potrà guadagnare un fiume di soldi. Questo, secondo Berdini, a causa del farraginoso e fantasioso articolo 6 della legge, rubricato “Compendi agricoli neorurali”. Stando al giudizio di Berdini, ci si aspetterebbe di leggere una riproposizione del thatcherismo/reaganismo più sfrenato, destinata a superare di gran lunga le promesse di Berlusconi. Il Cavaliere aveva detto agli italiani che sarebbero stati liberi in casa propria (di spostare un tramezzo ed allargare il bagno, ma con una comunicazione asseverata di un tecnico), che avrebbero potuto fare una stanza in più, ma non era arrivato a dire che avrebbero potuto fare ciò che volevano delle aree agricole lasciate loro in eredità da nonni o genitori.

 

Ma poi se si legge l’articolo 6 del testo in discussione si scopre che le regioni e i comuni, nell'ambito degli strumenti urbanistici, potranno classificare degli insediamenti rurali – quelli che hanno perso la loro funzione originaria, non certo per le pressioni dell’urbanizzazione, ma per il cambiamento globale del mercato dei prodotti agricoli – quali compendi neorurali, nel rispetto delle disposizioni del codice dei beni culturali e del paesaggio e delle prescrizioni contenute nei piani paesaggistici, e potranno ammettere l’eseguibilità di interventi più o meno rilevanti di rifunzionalizzazione del patrimonio edilizio che si trova all’interno di quei compendi. Si può dedurre che queste operazioni non potranno essere fatte quando – come scrive Berdini sul blog di Grillo - “io, proprietario di un casale agricolo che non funziona più perché ho dismesso l'attività agricola, posso trasformare la destinazione d'uso” ma soltanto dopo l’approvazione di leggi regionali, la variazione degli strumenti urbanistici, la presentazione (e approvazione) di un progetto unitario convenzionato. E le condizioni poste dal legislatore non sono finite qui: il progetto deve prevedere una percentuale di superficie ricostruibile (in caso di interventi di sostituzione edilizia) che non può in ogni caso superiore a quella esistente, deve essere trascritto il vincolo a conservare indivisa per almeno 20 anni la superficie del compendio, e quest’ultimo deve essere considerato come un bene indivisibile sino alla decorrenza del ventesimo anno dalla trascrizione in caso di successione.

 


Una pagina del blog di Grillo che parla del "consumo di suolo"


 

Già così – ferme restando le doverose critiche per un legislatore che si è calato nei panni dell’estensore della normativa tecnica di un piano regolatore – tra quel che scrive Berdini e il contenuto dell’articolo 6 sembra ci sia un mare largo e profondo. Anche il riferimento - fatto nel post di Berdini - alle destinazioni che le unità immobiliari comprese all’interno dei compendi neorurali potranno avere non tiene conto che il legislatore ha fatto quel tipo di scelta escludendo, tra le destinazioni ammissibili, quelle residenziali, per prevenire/impedire banali operazioni di conversione funzionale verso la residenza, delle quali chissà cosa avrebbe scritto Berdini.

 

Sull’aumento delle densità che costituirebbero un premio alla speculazione fondiaria – e la riprova del fatto che legislatore sia preda delle lobby che occupano il palazzo – gli studenti di urbanistica del prof. Berdini ricorderanno che era soprattutto l’espansione incontrollata a macchia d’olio, con le infrastrutture costrette ad inseguire l’edificazione privata, a far sì che i costi (di urbanizzazione) venissero socializzati e i profitti privatizzati. Riproporre le stesse argomentazioni rispetto ad operazioni di rinnovo della città esistente, che possono prevedere anche la densificazione di parti del territorio urbanizzato e una diversa rifunzionalizzazione del patrimonio edilizio esistente, dà un po’ l’idea che certi schemi logici – il fatidico "denaro sterco del diavolo" – siano validi sempre, a prescindere da tutto e soprattutto a prescindere dalla constatazione che la difesa di un monopolio pubblico rispetto al disegno della città e della sua espansione/trasformazione contro i signori della rendita poteva essere sostenuta sognando (battendosi per) l’esproprio generalizzato dei suolo destinati all’espansione - e fino ad un certo punto allora - quando le città uscivano dalle loro mura e si espandevano, ma non adesso. Uno schema (e un sogno) di questo tipo non può funzionare più, automaticamente, se – come è adesso – l’esigenza prevalente è quella di ristrutturare, di risignificare e rifunzionalizzare un patrimonio edilizio esistenti estremamente parcellizzato e segnato dalla presenza di molti soggetti con interessi ed esigenze non sempre convergenti – a detenere case o immobili non utilizzati non sono solo i costruttori – che non possono essere “azzerate” e/o poste autoritativamente sullo stesso piano.

 

Per questa ragione sono inevitabili – non sono una scelta di amministrazioni deboli – forme di partenariato tra amministrazioni, proprietari, costruttori e soggetti in grado di assicurare, nel corso del tempo, il successo di quelle operazioni urbanistiche, assicurando una oculata gestione del patrimonio edilizio ed urbano rinnovato, la vitalità delle nuove funzioni ed attività insediate e dunque un’adeguata remunerazione degli investimenti che i diversi soggetti coinvolti hanno sostenuto. Non si può non riconoscere il ruolo, e dunque il contributo, dei diversi soggetti che nella tabula tutt’altro che rasa, nella quale siamo collocati, detengono oggetti e posizioni. Lo stesso Berdini, qualche settimana fa, il 27 marzo sul Fatto Quotidiano, ha precisato che il Comune di Roma potrebbe sistemare i cittadini che vivono in case occupate e baracche “negli appartamenti costruiti dai privati, comprandoli”.

 

A Milano si discute di un referendum per la conversione in housing sociale degli immobili sfitti – da destinare a categorie di persone diverse che non sono quelle alle quali faceva cenno Berdini – e dunque della necessità che si consenta ad uno o più operatori di acquisirne la disponibilità, di eseguire i necessari interventi di adeguamento e ristrutturazione, e di metterli a disposizione alle condizioni agevolate previste dalla normativa in materia. È evidente che operazioni del genere – come pure quelle ipotizzate da Berdini sul Fatto - non riescono pensando che l’Amministrazione acquisisca la disponibilità e adatti/ristrutturi a costo zero quegli immobili e sia, poi, in grado di darli in locazione o di assegnarli ai soggetti che ne hanno diritto. Riescono se si immagina che l’Amministrazione trovi un operatore al quale conferire quel patrimonio - nel caso si tratti di beni di sua proprietà – ed al quale affidare il compito di eseguire i necessari interventi edilizi e di assicurare, nel corso del tempo, la gestione di quel patrimonio edilizio alle condizioni poste dall’Amministrazione. Allo stesso tempo - nel caso di beni di proprietà di terzi – l'operazione può essere tentata se l'Amministrazione crei le condizioni affinché un operatore ne possa acquisire la disponibilità e conduca la stessa operazione di rifunzionalizzazione e gestione di quel patrimonio. E dentro operazioni di questo tipo, l’investimento che verrà fatto dall’operatore potrà essere ristorato anche attraverso il conferimento della possibilità di realizzare, all’interno della stessa area, nuovi immobili ovvero di ampliare quelli esistenti o di cambiarne la destinazione d'uso. E se l’operazione - cosa non scontata - riesce, le proprietà pubbliche e/o beni che sino a quel momento erano abbandonati e non utilizzati potranno essere recuperati (e destinate a housing o ad altro), si troveranno all’interno di un quartiere e/o di un pezzo di città vitale e possibilmente integrato con gli altri beni, la presenza dei quali concorrerà alla qualità complessiva dell’area e – cosa ormai non più trascurabile – ad una adeguata ripartizione dei costi necessari alla gestione dei servizi connessi.

 

Diventeranno possibili – anzi agevolmente realizzabili – operazioni di questo tipo se dovesse essere approvata la legge sul consumo di suolo? Probabilmente no. Quel che è probabile è che con un assetto normativo che non renda possibile, anzi che metta al bando operazioni di questo tipo – in quanto premi alla speculazione fondiaria secondo Berdini – gran parte del patrimonio edilizio, al momento sottoutilizzato e/o abbandonato, resterà tale e qualunque tentativo di riuso della città e del patrimonio esistente, che non a caso sono un ingrediente fondamentale delle ricette di altri paesi in materia di contenimento del consumo di suolo, rischierebbe di continuare a essere meno conveniente, e dunque meno fattibile, di operazioni che continueranno ad interessare, anche se marginalmente, quote di suolo ancora libero.

 

Detto questo, poi, si può anche salutare il post come il giusto avvio di un dibattito tra gli “anti-consumisti” sulla bontà e sull’utilità della legge in discussione, al quale il professor Berdini non fa mancare il suo contributo scrivendo che una volta approvata la legge sul consumo di suolo chiunque avrà un’area agricola potrà mettere “a profitto quello che vuole”, e prenotandosi un posto – anche questa volta – tra quanti diranno “si stava meglio quando si stava peggio” o meglio si stava meglio quando non c’era una legge sul contenimento del consumo di suolo.

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