Francesco Cossiga, presidente della Repubblica dal 1985 al 1992 (foto LaPresse)

Ma cosa direbbe il Picconatore della magistratura di oggi? Un'intervista onirica

Mario Sechi
Drin! E’ il telefono, sono le 6 del mattino, chi può essere a quest’ora? Dev’essere successo qualcosa di grave… Pronto? Pronto, chi è? Sono Cossiga, stavi dormendo?

Drin! E’ il telefono, sono le 6 del mattino, chi può essere a quest’ora? Dev’essere successo qualcosa di grave…
Pronto?

 

Pronto, chi è?
Sono Cossiga, stavi dormendo?

 

Presidente, scusi, ma sono le sei…
Sei proprio di Cabras, un sassarese a quest’ora è sveglio. Io ho già letto tutti i giornali. Fatti la doccia e vieni a casa, ti devo parlare.

 

Ma quando? E dove?
Subito! Via Ennio Quirino Visconti, blindato dei Carabinieri.

 

L’abitazione di Francesco Cossiga a Roma è semplice, il salotto è pieno di foto, cornici d’argento, vassoi. Non c’è lusso, non c’è design, non c’è kitsch né barocco, tutto è semplice e ha il profumo dei libri, storia e politica qui riposano come un vino nel decanter. La bandiera dei Quattro Mori ricorda a tutti che questa non è una casa, è un’isola dove vigono leggi speciali promulgate dal padrone. Cossiga ha in mano un bel po’ di fogli bianchi, battuti a macchina.

 

Presidente, cosa c’è scritto in quei fogli che ha in mano?
E’ l’intervista che mi ha fatto Franco Mauri, è per te.

 

Ma Franco Mauri è lei!
Ho fatto come Spadolini. Anche lui si scriveva le interviste. Ho capito, non la vuoi, allora, dai, visto che ti credi intelligente, fai le domande.

 

Presidente, ma su cosa vuole essere intervistato?
Sei più addormentato di un giovane servo pastore a cui sono scappate le pecore nell’ovile. Su Renzi e la magistratura, su cosa dovrei parlare, secondo te, su Cuperlo e Bersani? Aiò.

 

E quale sarebbe il chiodo dove appendiamo il quadro, secondo lei?
Il chiodo è lungo e appuntito, perfetto per la tua fronte: Renzi deve riformare le intercettazioni e poi anche la magistratura.

 

Vaste programme.
Non fare citazioni in francese, non conosci la storia del generale De Gaulle. Pensa in sardo e traduci in italiano. Hai letto la raffica di dichiarazioni di Piercamillo Davigo?

 

Sì, certo. Dice che non c’è nessuna guerra e che i magistrati fanno indagini e processi.
Non hai capito niente, al solito. Davigo è il presidente dell’Anm e quello che dice ora rientra nella categoria della politica.

 

E quindi?
E quindi sei una testa d’asino. L’armistizio tra la magistratura e il governo non c’è più, siamo tornati al 1992. Anzi, poco prima. Ci sono tutti i segnali, siamo di nuovo a quel punto là, sta per succedere qualcosa.

 

Quale punto?
Lo scrissi nel mio messaggio alle Camere del 20 luglio del 1991. Te lo sei già dimenticato?

 

Presidente, sono passati venticinque anni…
E visto che hai la memoria di una formica, rileggilo. I cittadini hanno chiaro il tema di cui scrissi alle Camere: “Il problema della giustizia è centrale nella vita della comunità nazionale; e non è temerario parlare di una grave crisi nell’amministrazione della giustizia”.

 

Ma la magistratura si autogoverna…
Appunto, vedo che ti stai svegliando. E così i magistrati sono rimasti di fatto inamovibili e irresponsabili e il Csm un organo che si pone sulla materia giudiziaria come legislatore al posto del Parlamento. Non a caso nessuna incisiva riforma è mai andata a buon fine.

 

Ma lei ha sempre sostenuto l’indipendenza della magistratura.
Certo, ma anche la sua soggezione alla legge. Il magistrato non è un marziano, alla sua indipendenza corrispondono altre garanzie. Ti rinfresco la memoria: “Quella del Parlamento, quale sede privilegiata della sovranità nazionale; il presidente della Repubblica, quale organo di garanzia politico-istituzionale del corretto funzionamento delle istituzioni e quindi anche dell’istituzione giudiziaria; la Corte Costituzionale, organo di garanzia giurisdizionale della Costituzionale e delle leggi e infine il Consiglio superiore della magistratura, quale organo cui, con piena autonomia, è affidata certamente, ed in via primaria una missione di alta amministrazione per il governo della magistratura e che ha, come fine esclusivo del suo agire e come unica ragione del suo essere, l’indipendenza del giudice e la sua soggezione solo alla legge”. Ora hai tutto chiaro? O devo far portare una lavagna?

 

Perfetto, professor Cossiga. E quindi?
Un campidanese non sfotte un sassarese, stai attento o tiro fuori la leppa, il coltello che regalai a Silvio Berlusconi. Sai che lo fece vedere a Fabrizio Cicchitto e gli disse: “Guarda cosa mi ha regalato Cossiga”. Secondo me Silvio aveva preso quel regalo come una minaccia, mentre per noi sardi regalare un coltello è segno di grande amicizia. Tu hai una leppa?

 

Sì, presidente, ho un coltello con il manico di corno di cervo, fabbricata a Pattada. Ora che abbiamo fissato i reciproci “interessi di lama”, la prego, andiamo avanti.
Quindi, dicevo, siamo al punto di prima, il giudice è indipendente, tutti gli altri poteri però, in assenza di una riforma e sotto il peso del contesto storico, la forza dei fatti, sono stati sottoposti al suo potere d’indagine. O ti sei dimenticato la testimonianza chiesta al presidente Giorgio Napolitano sulla fantomatica trattativa Stato-Mafia?

 

Non l’ho dimenticata. Dove vuole arrivare?
Questo è il punto chiave. Non ti sarà sfuggito che Napolitano entrò in quell’inchiesta grazie a un’intercettazione di Nicola Mancino. Quella fu la furbata che innescò la chiamata a deporre del presidente della Repubblica. E quei fatti condussero Loris D’Ambrosio, consigliere giuridico del Quirinale, alla toba. Crepacuore. Un’enorme perdita per il diritto.

 

Il presidente Napolitano parlò di “campagna violenta e irresponsabile”.
Il fatto che nessuno allora sia intervenuto per mettere fine a questo scempio del diritto, dà l’idea del potere condizionante della magistratura. E dà lì bisogna partire, dalle intercettazioni. Se non si riforma la disciplina sull’uso, sulla pubblicazione delle conversazioni telefoniche, non si metterà mai fine all’anomalia del potere dei pm. Anche solo potenziale. Il fatto di ascoltare, trascrivere e poi diffondere i contenuti sui mezzi di comunicazione è un potere che c’è nei regimi totalitari o deviati.

 

Lei contestò l’allora ministro della Giustizia Clemente Mastella quando decise di sospendere la riforma dell’ordinamento giudiziario.
Certo. Dissi al mio amico Clemente, un democratico-cristiano a cui ho voluto davvero bene, che era ostaggio della lobby dell’Associazione nazionale magistrati. Forse fui troppo duro, ma con gli amici io sono sempre stato così, sincero.

 

E Renzi secondo lei che farà?
Renzi è un fiorentino, come noi sardi ama fare s’istrumpa, il combattimento corpo a corpo. Gli darei un solo consiglio.

 

Che consiglio?
Quello che diedi a Berlusconi: “Vuoi fare una cosa seria? Hai una maggioranza bulgara, puoi fare quello che vuoi: invece di perdere tempo a fare le leggi ad personam ripristina l’articolo 68 della Costituzione”.

 

L’immunità?
Certo, non guardarmi con l’aria di un chierichetto di paese. Quello è un segno di civiltà, il primato della politica, la misero i padri costituenti, non il professor Rodotà che è sì padre, ma non costituente.

 

E se non lo fa?
Colpiranno tutti quelli del giglio magico, come lo chiamate voi giornalisti. Ci hanno già provato con la bella Maria Elena Boschi, andranno avanti.

 

Ma e se il pm di Mani Pulite, Piercamillo Davigo, fosse oggi in realtà una colomba che usa parole dure solo per tenere insieme le correnti dell’Anm?
Ma sei sicuro di essere sardo? Sei proprio un ingenuo. Nel 1994 ebbi un dibattito con Davigo, al Circolo della Stampa, a Milano. Lui disse varie cose, te ne ricordo due. La prima, ascolta con attenzione: “Se avesse funzionato il principio di responsabilità politica certi personaggi sarebbero stati mandati a casa dai loro partiti molto tempo prima. Invece sono rimasti avvinghiati alle sedie fin quando non sono arrivati i carabinieri a schiodarli”. E la seconda, allunga le orecchie: “La presunzione di non colpevolezza vale nel processo penale, non per altre forme di responsabilità”.

 

E lei cosa rispose?
Ovviamente mi arrabbiai moltissimo. Quello di Davigo era un discorso etico, sulla morale, la politica, non sul diritto e l’applicazione del codice penale. Gli dissi “voi non potete sindacare l’elezione, potete condannare l’eletto ma non chi lo ha eletto”. Difesi perfino il ruolo di supplenza che la magistratura stava esercitando in quel momento, ma al riferimento di Davigo a “altre forme di responsabilità” replicai: “Che non la riguardano! Che non riguardano lei come magistrato, e il giorno che la riguardano come magistrato vuol dire che il sistema politico non funziona. Io la difendo perché lei esercita senza saperlo una funzione di supplenza. E’ lecito e doveroso che lo facciate adesso perché siamo in un periodo di grave crisi politica e istituzionale, il giorno che fossimo nella normalità costituzionale quello che voi fate non sarebbe più lecito”.

 

Presidente, ventidue anni dopo quel dibattito tra lei e Davigo, a che punto siamo?
Siamo al punto che Davigo l’altro ieri in un’intervista ha detto questo: “Se la politica usasse per le sue autonome valutazioni gli elementi che noi usiamo per i giudizi penali e ne traesse le dovute conseguenze, processeremmo degli ex. Senza conseguenze politiche”.

 

E quindi? Non ha cambiato idea.
Non ne dubito, ma oggi siamo nella normalità costituzionale, non nell’emergenza, nella supplenza dei pm, e il problema è proprio questo: Davigo dice le stesse cose di ventidue anni fa.
Drin! E’ la sveglia, sono le 6 del mattino, devo andare alla radio. Che strano, mi sembra di aver sognato che facevo un’intervista a Cossiga.