Uber no grazie. Così Renzi ha deciso di regalare una vittoria ai tassisti

Claudio Cerasa
Doveva essere il terreno sul quale mostrare un qualche lampo di riformismo, una qualche luce sul tema delicato e tabù delle liberalizzazioni. E invece no, niente: ancora una volta, la partita del trasporto urbano, la sfida tra Uber e taxi, segna una vittoria piuttosto clamorosa dello spirito corporativista su quello riformatore.

Doveva essere il terreno sul quale mostrare un qualche lampo di riformismo, una qualche luce sul tema delicato e tabù delle liberalizzazioni. E invece no, niente: ancora una volta, la partita del trasporto urbano, la sfida tra Uber e taxi, segna una vittoria piuttosto clamorosa dello spirito corporativista su quello riformatore. Cosa è successo? Riavvolgiamo il nastro. La giornata di oggi, venerdì 18 marzo, sarebbe dovuta essere una giornata da lupi, per il governo e per gran parte dell’Italia: i tassisti, alcune settimane fa, avevano deciso di convocare uno sciopero nazionale contro “la deregolamentazione del settore” e avevano minacciato di bloccare le grandi città qualora il governo avesse concesso qualcosa a Uber e alle auto a noleggio con conducente.

 

Quel “qualcosa” che il governo avrebbe potuto concedere coincideva con una serie di emendamenti al ddl Concorrenza all’esame della commissione Industria in questi giorni. L’emendamento chiave era uno in particolare: quello che rendeva più facile la vita agli Ncc (e di conseguenza a Uber, che opera con gli Ncc) e che prevedeva la rimozione dell’obbligo di rientro in rimessa delle auto dopo ogni corsa (obbligo risalente al 2008). Abbiamo utilizzato finora i verbi al passato perché, nel corso della giornata di mercoledì, i tassisti hanno ottenuto una vittoria a tutto campo e hanno ottenuto dal governo il ritiro di tutti gli emendamenti non graditi. Non a caso le principali sigle nazionali, dopo un incontro avuto nel corso della giornata con i rappresentanti del ministero dei Trasporti e dello Sviluppo, hanno deciso di sospendere lo sciopero, “alla luce degli impegni assunti dal Governo” (così testuale il comunicato diffuso dalle sigle dei taxi mercoledì pomeriggio).

 

“Le rassicurazioni ricevute in sede di incontro con Mit e Mise – ha scritto uno dei leader della protesta dei taxi, Claudio Giudici, uomo forte dei tassisti di Firenze – vanno ben oltre quanto, per sedicenti motivi di opportunità nei rapporti tra istituzioni, essi abbiano potuto mettere nero su bianco nel loro comunicato”.

 

 

Sull'incontro di oggi con MIT e MISE e sul prossimo tavolo di lavoro: attenzione al metodo "Firenze"!Attenzione al...

Pubblicato da Claudio Giudici su Mercoledì 16 marzo 2016

 

 

Il Mise e il Mit assicurano che il tema è solo rimandato e che il dossier è rinviato a una futura legge delega che disciplinerà il settore. Ma le rassicurazioni del governo questa volta sembrano fragili.

 

La liberalizzazione del trasporto pubblico è da due anni che si trova sul tavolo di Renzi. Nel 2015 è stata rinviata per questioni legate all’Expo (visto mai ritrovarsi con i taxi milanesi incazzati in concomitanza con l’Esposizione universale). Nel 2016 è stata rinviata una seconda volta per questioni legate al Giubileo (visto mai ritrovarsi con i taxi milanesi incazzati in concomitanza con l’arrivo dei pellegrini nella Capitale). E oggi, a metà 2016, la riforma viene ancora una volta rinviata per ragioni, ovviamente, legate al consenso (e non a caso nessun avversario di Renzi, sempre per questioni legate al consenso, ha colto l’occasione per sottolineare lo scarso coraggio di Renzi contro i taxi: in campagna elettorale i tassisti, si sa, fanno paura a tutti). Si capisce che Renzi sia preoccupato e che non scalpiti per sfidare a singolar tenzone i tassisti alla vigilia di un voto delicato come quello di Roma e di Napoli. Si capisce meno la ragione per cui il presidente del Consiglio non consideri ancora una priorità il tema delle liberalizzazioni.

 

Il test di Uber doveva essere un termometro per misurare il grado di riformismo del governo su questo campo. Il risultato è che, mentre i tassisti festeggiano per una mancata regolamentazione del settore, aziende come Uber riconoscono che in Italia fare impresa rischia di diventare impossibile se un governo riformista di fronte alla minaccia di una città bloccata decide di rottamare il buon senso e di passare dalla parte delle corporazioni.

 

Si potrebbe dire che il problema non esiste e che se ne parlerà dopo le amministrative. Ma dopo le amministrative ci sarà il referendum. Dopo il referendum ci sarà il G7. Dopo il G7 ci saranno le elezioni. E dunque è facile pronosticare che nella sfida tra governo e taxi alla fine, ancora una volta, saranno i secondi a prevalere sui primi. Brutto segno, caro presidente.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.