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Così Cassese processa l’Autorità anticorruzione

Marianna Rizzini

Il giurista e giudice emerito della Corte costituzionale dice la cosa che molti in privato pensano e non tutti pubblicamente dichiarano: “Uno spettro si aggira per l’Italia, l’Anac”.

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Roma. A un convegno di avvocati, alla Camera amministrativa romana, si parla di Anac, l’Autorità nazionale anticorruzione diretta da Raffaele Cantone, e di contratti pubblici, direttive europee e appalti. A un certo punto il giurista e giudice emerito della Corte costituzionale Sabino Cassese dice la cosa che molti in privato pensano e non tutti pubblicamente dichiarano: “Uno spettro si aggira per l’Italia, l’Anac”, scherza Cassese, che però poi mette punto per punto alla sbarra quello che chiama “il gendarmone” Anac, organismo anticorruzione così “sovraccarico”, da un lato, e così poco “indipendente” dall’altro (poco indipendente dai governi di fatto, anche se magari non nelle intenzioni).

 

Deve fare troppo per poter davvero funzionare, l’Anac, e in materie troppo diverse, dice in sostanza Cassese, che dubita anche della reale funzione di “deterrenza” dell’Autorità, “un ossimoro” nella sua natura di organismo flessibile ma con poteri che in qualche modo dovrebbero essere vincolanti. Come combattere la corruzione con un’Autorità che soffre di tale “inadeguatezza strutturale”? Cantone intanto, dalla Campania, parlando di corruzione dice: “Difficile farla emergere, nessuno denuncia”.

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