Soldati ucraini in zone liberate della regione di Kharkiv (LaPresse)

Piccola posta

La metamorfosi dei droni iraniani usati dai russi, da “martiri” a “gerani”

Adriano Sofri

Vladimir Putin compra droni dagli ayatollah (gli Shahed) e tenta di cambiarne il nome per spacciarli come prodotti del Cremlino, fallendo goffamente.  

La nuova risorsa delle forze armate russe, a parte i disgraziati carcerati liberati per arruolarsi, sono i droni-kamikaze di attacco iraniani. Le attenzioni degli esperti militari vi si sono dedicate negli ultimi giorni. Si era parlato da tempo dell’acquisto di alcune centinaia di esemplari. Ora i militari ucraini hanno mostrato la fotografia di una parte dell’ala di uno di questi droni, interrata, per un cattivo funzionamento, o per aver compiuto la sua missione, nelle vicinanze di Kupyansk. Gli ufficiali ucraini ne hanno sottolineato l’efficacia micidiale contro la propria artiglieria, e hanno ribadito drammaticamente la richiesta di armamenti in grado di neutralizzarli. 

Sul detrito dell’ala del drone fotografato c’è un numero e il nome, in cirillico: Geran’-2. E’ un maldestro tentativo di far passare per un prodotto russo quello che in realtà è uno Shahed-136 iraniano. Ho letto le notizie pertinenti senza sperare di impadronirmi del loro significato tecnico. Mi interessava però la questione lessicale: i russi di Putin (e di Kirill) comprano dagli ayatollah e dai pasdaran di Khamenei un drone suicida che si chiama Shahed, cioè Martire, colui che muore immolandosi per testimoniare della fede. Benché il capo del Cremlino sia generoso di accoglienza (mortale) alle bande dei ceceni rinnegatori della propria storia e alle minoranze musulmane o non cristiane più remote della Federazione russa, a parte l’opportunità militare di camuffare le nuove armi, qualche imbarazzo teologico deve aver provato anche rispetto alla denominazione del drone, la parola chiave del jihad islamista, sciita, come in Iran, o sunnita (lo Shahed-136 era stato impiegato finora dagli iraniani in Yemen). Così lo “shahid” si è tradotto nel “geranio”, una delle più squisite metamorfosi dal regno animale al vegetale e floreale. Oggi tutti hanno imparato il nome arabo di Shahīd (o persiano Shahed, che è anche il titolo dell’industria aeronautica produttrice). Io, che ero ignorante, lo imparai nel 1980 nei primi tempi della guerra iraniano-irachena, quando i bambini di Teheran venivano addestrati a sfilare segnando il passo al ritmo di “yek, do, se, Shahid”, un due tre Shahīd. 

Si dirà che comprare droni dalla Turchia, benché sia nella Nato, non sia molto meglio. Ma almeno si chiamano Bayraktar. Dal nome del loro inventore e costruttore, Selçuk Bayraktar. Tipo Mario Rossi. In Ucraina è stampato su una quantità di magliette. Non sarà granché, ma immaginate magliette su toraci russi con su stampato: Shahed.

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