Piccola Posta

Quella sinistra repressiva che disdegna la spontaneità dei movimenti popolari

Adriano Sofri

La resistenza popolare ucraina è stata inaspettata. Forse agli stessi suoi protagonisti, che si sono scoperti nel fuoco dell’invasione capaci di una metamorfosi. Succede ancora che i popoli siano capaci di questo

Quando faccio l’errore di guardare la televisione, scopro con quale naturalezza i commentatori parlano dell’Euromaidan cosiddetta, dal novembre del 2013 alla deposizione e la fuga del presidente Viktor Janukovicč il 21 febbraio del 2014, come del “colpo di stato”. E’ raro che qualcuno degli astanti obietti, avanzando una definizione alternativa, non so, per esempio “la rivoluzione” di Majdan Nezaležnosti, Piazza Indipendenza (la rivoluzione della dignità, la chiamano i protagonisti). Coloro che la chiamano “colpo di stato” (Travaglio, per esempio, a “8 e ½”, senza che si batta ciglio) aggiungono, se sono in vena di spiegazioni, che quel movimento colossale per partecipazione, a partire da un manipolo di studenti di Kyiv, per durata e per l’asprezza via via più violenta degli scontri, fu istigato, finanziato e guidato dagli Stati Uniti. Un racconto che prepara quello odierno della “guerra per procura”, in cui la resistenza inimmaginata per tenacia e compattezza di un gran paese viene degradata al rango di una mobilitazione gregaria agli ordini della Nato e degli Usa. E’ curioso che simili denigrazioni della parte di libertà di scelta che un movimento popolare rivendica vengano ormai altrettanto da sinistra che dalla destra cosiddetta sovranista, dunque incline a subodorare lo zampino della Cia nelle ribellioni popolari. Al populismo originario, quello russo o quello mazziniano, sarebbe suonata come una bestemmia una tale espropriazione della libera volontà dell’insurrezione: “Quando il popolo si desta / Dio si mette alla sua testa / le sue folgori gli dà”. 


C’è in particolare un precedente a mostrare l’antichità di questo atteggiamento “di sinistra”, della sinistra autoritaria e cesarista, e un caso personale a incarnarla coerentemente, benché con un oltranzismo ogni volta superiore all’aspettativa: è il caso della rivoluzione d’Ungheria 1956, e del suo nemico di allora, come della Maidan 2014, il mio caro Luciano Canfora. Anche quella fu una rivolta eroica contro la Russia, l’Urss allora, in un divario di forze incomparabilmente più smisurato; anche quella guardò a occidente, ascoltò Radio Europa Libera, e credette di trovarvi un appoggio che allora mancò del tutto; anche quella fu designata dalla invasione carrista sovietica come una controrivoluzione fomentata dall’esterno e da schiacciare nel sangue. Il disprezzo per la spontaneità del movimento popolare e la sua riduzione alla manovra occulta del capitalismo cosmopolita, tara originaria del comunismo autoritario, aveva trasformato i militanti di quella sinistra in altrettanti uomini d’ordine, pronti e spesso entusiasti della repressione. Nella pubblicistica di qua dalla cortina di ferro la denominazione che si preferì a designarne il ricordo, così da salvare il quieto vivere col comunismo d’obbedienza moscovita, fu quella graziosamente neutra di “Fatti”: “I fatti d’Ungheria”. 


Torniamo ai “fatti” di Euromaidan, per i quali c’è un altro dettaglio pittoresco, che ho ascoltato proprio da Canfora, salvo che ricordi male. E’ la sentenza che suona: “Avete mai visto una ribellione popolare di piazza che si traduca spontaneamente nella cacciata di un governo?”. Mi è venuto da ridere di gusto. L’avevo vista, infatti –  non più d’una, del resto, ma una. Proprio in Italia, a Genova e poi in tutto il paese, nel giugno-luglio ’60: un governo che aveva ottenuto la maggioranza parlamentare, quello del democristiano Fernando Tambroni, con l’appoggio esterno dei neofascisti, fu cacciato a furor di popolo. Come Viktor Fedorovycč Janukovycč. A Licata era stato ucciso dalla polizia un manifestante, a Reggio Emilia cinque operai del Pci, altre quattro persone in Sicilia: tuttavia molti meno dei morti ammazzati a Maidan 2014. Che ne dite, cominceremo a parlarne come del colpo di stato del luglio ’60?


Ho un’osservazione da aggiungere. La resistenza popolare ucraina è stata inaspettata. Forse, vorrei dire, inaspettata agli stessi suoi protagonisti, che si sono scoperti nel fuoco dell’invasione capaci e tenuti a una metamorfosi, una rigenerazione: può infatti succedere. In Europa sembrava fuori luogo. Però l’altro giorno è successo che a Hong Kong sia stato eletto governatore, col 99,1 per cento, John Lee Ka-chiu, il poliziotto ligio a Pechino e autore della repressione di un movimento per la democrazia che, nell’ultima fase, nel 2019-2020, aveva fatto prova di una forza, un coraggio, una lucidità, una solidarietà, meravigliose. Succede ancora che i popoli siano capaci di questo. Il popolo di Hong Kong non era stato piegato da migliaia di arresti, da omicidi, bastonature, torture, cui si erano affiancati suicidi di lotta e di testimonianza. Non potevano vincere, da un certo punto in poi lo sapevano. Anche Spartaco e i suoi non potevano vincere. Abbiamo reso troppo poco onore alla resistenza di Hong Kong. Ora è tardi, ma è ancora tempo di fare tesoro del valore sconfitto per trovare un’altra risposta alla immemorabile domanda su che cos’è l’occidente: l’occidente è Hong Kong nel 2019-2020.

Di più su questi argomenti: