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La rivoluzione danzante di Lella Costa a teatro

Adriano Sofri

Lo spettacolo ispirato al "Catalogo delle donne valorose" di Serena Dandini. Qui gli uomini non entrano, o entrano soprattutto per aver schiacciato, consapevoli o no, le "loro" donne. Il corpo dell'attrice ha un’energia che intimidisce, e mentre fa la sua rivoluzione e quella delle altre, non si risparmia

Ero stanco, desolato, fuori c’era la primavera e non la meritavo, sotto il teatro di Mariupol c’erano 300 morti, poi non c’erano più e qualcuno rischiava di dispiacersene, poi ci furono di nuovo e qualcuno rischiò di dispiacersene da una parte e dall’altra, e non era più per i 300 morti ma per chi avesse avuto ragione, come si può voler avuto ragione al costo di 300 morti, insomma sono andato a teatro, non ci vado più da tanto, al Puccini di Firenze, perché c’era Lella Costa e spiegava che “Se non posso ballare… non è la mia rivoluzione”. Frase bellissima già di Emma Goldman, femminista anarchica (Lituania 1869 - Canada 1940: mi permetto di suggerire Maggiani, L’eterna gioventù). Qualcuna, qualcuno, si è sempre premurato di associare alla rivoluzione un ballo. O al pane le rose (Marx e un poeta americano e le femministe socialiste e suffragiste, e poi, definitivamente, le operaie tessili di Lawrence, Massachusetts, 1912). O Vladimir Majakovskij: “Per quel che riguarda il pane la cosa è chiara. Per quel che riguarda la pace anche. Ma la questione cardinale della primavera va risolta a ogni costo”. Attuale, maledetta benedetta primavera.

Nello spettacolo di Lella Costa gli uomini non entrano, o entrano soprattutto per aver schiacciato, consapevoli o no, le “loro” donne: il signor Curie, per esempio, che aveva sposato Maria Salomea Skłodowska e le portò via il nome. O Lillian Moller sposata Gilbreth, ingegnera, che avendo le braccia ingombre di un paio dei dodici figli inventò la pattumiera a pedale. Ispirato dal Catalogo delle donne valorose di Serena Dandini, svolto fino a comprenderne 99, lo spettacolo prende subito un andamento turbinoso, donne annunciate e ritratte in una frase, un gesto, una canzone, che trapassano l’una nell’altra, con un montaggio ingegnoso che le accosta per differenza, così che Lella possa far scialo della sua versatilità di toni accenti e movimenti, e per analogie impreviste. Lo spettatore dal fiato corto – io, per esempio – dopo un primo spaesamento entra in quel ritmo e si ritrova a pensare che, distanti come sono Ipazia e Mae West, Margherita Hack ed Emily Dickinson, davvero qualcosa le tiene insieme tutte, e non lo penserebbe mai per 99 uomini (o 99.999, minimo, per loro) se non per qualche dettaglio imbarazzante.

Il corpo di Lella Costa ha un’energia che intimidisce, e nel programma di ballare, mentre fa la sua rivoluzione e quella delle altre, non si risparmia. Allo spettatore dal respiro breve, io per esempio, tornano in mente i versi: “Ich möchte schlafen. Aber du mußt tanzen” – “Dormir vorrei, ma tu devi ballare”, da Theodor Storm, “Hyazinthen”. Non voglio fare sfoggio della citazione, la ricordo solo perché sta nel Tonio Kröger, con l’originale in nota. Mi pare che, nonostante tutta la virile agitazione e lo sciabolare e il roboare, il concetto si adatti alla vicenda delle donne e degli uomini e alla loro possibile alleanza. Nella musica, per esempio: Renata Tebaldi che canta “Casta Diva” e a buon diritto chiede se possa esistere un’altra come lei, e Maria Callas che canta “Casta Diva” e non c’è bisogno di rispondere (nascosto dietro una porta, nel vestibolo, l’inetto proprietario terriero Il’ja Il’ic Oblómov ascolta Ol’ga che canta “Casta Diva” e piange di commozione). Oppure in Elsa Morante, che si prende il finale, e l’eventualità che i felici diventino molti in un mondo salvato dai ragazzini. (Dai ragazzini!).

In appendice allo spettacolo, dopo molto applaudire, un video col titolo “Io ballo per lei” invita a nominare una donna con cui, per cui si vorrebbe ballare. E’ dedicato ai giovani. Non fa niente, la mia è Enrica Calabresi (Ferrara 1891 - Firenze 1944), ebrea, zoologa, entomologa. Fidanzata per amore con Giovanni Battista De Gasperi (Udine 1892 – Altopiano di Asiago 1916), geologo, speleologo, esploratore della Terra del Fuoco, alpino e caduto nella Prima guerra. Lei non ebbe un altro amore. Splendida scienziata e docente (Hack fu sua allieva) non ebbe il posto universitario perché le fu preferito un candidato molto fascista, poi lo ebbe, a Pisa, e lo perse perché vennero le leggi razziste. Non volle lasciare Firenze, fu arrestata nel 1944 e, nella sua cella alle Murate, il 19 gennaio 1944, la notte prima d’essere deportata ad Auschwitz, ingoiò la fialetta di fosfuro di zinco che aveva sempre tenuto con sé. Io non so ballare, ma ballerei per lei.

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