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Piccola Posta

I partiti etnicisti perdono la Bosnia Erzegovina

Adriano Sofri

Sul voto di domenica hanno pesato soprattutto il disgusto contro una corruzione inveterata che si era appena lasciata prendere con le mani nel sacco della speculazione sui respiratori e le cure per il Covid, ma anche il ricordo meditato della guerra e dell’abuso che se ne continua a fare

Le elezioni amministrative che si sono tenute domenica in Bosnia-Erzegovina e nella Republika Srpska (a Mostar, dove non si vota da dodici anni, si terranno solo il 20 dicembre) hanno inflitto una grossa sconfitta ai partiti etnicisti che da sempre hanno il rispettivo potere e ne dispongono come di un patrimonio tribale. L’Sda, il partito bosgnacco, bosniaco-musulmano, di Bakir Izetbegovicć, figlio di Alija, lo storico primo presidente bosniaco, ha perso Sarajevo, e in particolare il centro, la municipalità principale, a vantaggio di una coalizione di quattro partiti minori. A Tuzla conserva il comune il sindaco socialdemocratico.

 

A Banja Luka, la capitale serbista dell’Snds di Milorad Dodik, da sempre padrone secessionista impudente della Republika Srpska, ha vinto Draško Stanivukovićc, il ventisettenne candidato sindaco del Partito del progresso democratico. Il candidato sindaco serbista di Dodik ha perduto anche nella seconda città, BijeljinaA Srebrenica il conteggio dei voti sarà completato solo fra alcuni giorni, per includere i molti voti postali, previsti per la diaspora di quella città, che potrebbero bastare a colmare il risicato vantaggio attuale del sindaco uscente serbista, uomo che nega il genocidio, sul candidato della coalizione bosgnacca, Alija Tabakovićc.

  

 

Ci sarebbe allora un piccolo risarcimento all’enorme infamia di Dayton, che ha lasciato Srebrenica all’entità nazionalista dei perpetratori del genocidio. Risultati favorevoli alle opposizioni si sono registrati anche in comuni erzegovesi in cui, a differenza che a Mostar, si è votato. L’affluenza è stata del 50 per cento. Irregolarità sono state diffusamente denunciate: non hanno potuto votare migliaia di cittadini in isolamento per il Covid, ci sono state manipolazioni in alcuni seggi. Il risultato complessivo sembra andare nel senso tipico delle consultazioni elettorali di questo tempo: forte ribellione, soprattutto giovanile, alla corruzione e all’arroganza dei poteri nelle città maggiori, tenuta della conservazione nei centri minori e nelle campagne. In realtà la Bosnia è stata una fiera e tragica anticipatrice di questa tendenza, il paese dell’odio etnicista contro la città che confonde e rende liberi, il luogo esemplare dell’assedio urbicida.

 

Sul voto di domenica hanno pesato soprattutto il disgusto contro una corruzione inveterata che si era appena lasciata prendere con le mani nel sacco della speculazione sui respiratori e le cure per il Covid, ma anche il ricordo meditato della guerra cosiddetta civile e dell’abuso che se ne continua a fare. Il candidato più votato a Sarajevo centro, con poco meno dei due terzi dei voti, si chiama Srdđan Mandicć, nome e origine serba di una famiglia che restò dalla parte della Bosnia internazionale e di Sarajevo città aperta: sarà lui, se il risultato sarà rispettato, il prossimo sindaco di Sarajevo.