Elezioni amministrative in Turchia, vittoria a metà per la coalizione di Erdogan

Cosa dovrebbe imparare la sinistra italiana dall'esempio delle elezioni turche

Adriano Sofri

Istanbul, Ankara, Izmir-Smirne, Antalya, Adana, sono andate all’opposizione. La persecuzione spinge spesso al settarismo

Nelle elezioni amministrative turche, di cui Erdogan aveva voluto un’ennesima volta fare un plebiscito sulla sua persona e una sfida “per la sopravvivenza del paese”, è successa una cosa nuova e importante: che i partiti dell’opposizione, con eccezioni marginalissime, si sono uniti solidamente contro il prepotere del partito Akp e ne sono stati premiati oltre le aspettative. Erdogan era sempre uscito vincitore dai confronti elettorali, ma le elezioni avevano già mostrato una Turchia spaccata in due.

 

 

Questa volta le grandi città, Istanbul, Ankara, Izmir-Smirne, Antalya, Adana, sono andate all’opposizione. La Turchia è all’avanguardia del conflitto che contrassegna la lotta politica nell’intero mondo democratico e che può riassumersi nell’incitamento rovesciato alle città che assedino le campagne, Stati Uniti e Gran Bretagna compresi. Le città, l’aria che rende libere e liberi, i giovani. Prima della spaventosa repressione successiva al tentato colpo di stato imputato a Fethullah Gülen, il partito curdo di Selahattin Demirtaş, Hdp, il Partito Democratico del Popolo, era riuscito a entrare in Parlamento superando due volte largamente la soglia che si voleva proibitiva del 10 per cento, inceppando la marcia presidenzialista di Erdogan e divenendo il terzo partito turco. Demirtaş e la copresidente Figen Yuksekdag e l’intero gruppo dirigente Hdp, donne e uomini, sono stati incarcerati e perseguitati con ogni mezzo. L’accusa di essere nient’altro che il braccio legale e ipocrita dell’illegale Pkk, il Partito dei lavoratori dichiarato terrorista, si è tradotta nella destituzione di parlamentari e di amministratori dello Hdp, che governava molte città del sudest a maggioranza curda con i suoi co-sindaci, una donna e un uomo.

 

Domenica lo Hdp ha riconquistato Diyarbakir, la capitale di fatto del Kurdistan turco, e altri centri importanti, ma ha subito una sconfitta costosa altrove, come a Qerekose-Ağrı, a Cizre o a Bilîs-Bitlis, a vantaggio dell’Akp. In tutte queste città il regime di Ankara aveva sostituito gli amministratori eletti con commissari governativi e aveva moltiplicato le risorse clientelari a loro disposizione. Lo Hdp aveva nel tempo allargato la partecipazione trasversale di non curdi alla sua direzione, rischiando il malcontento della base più rigida e l’accusa di essere diventato un’alleanza gruppettara di sinistra. In una situazione così ardua lo Hdp aveva deciso di rinunciare a presentarsi alle elezioni in tutte le maggiori città fuori dalla regione curda, invitando i suoi elettori a votare per il candidato repubblicano del Chp, il Partito popolare repubblicano, che avesse le maggiori possibilità di affermazione. E’ quello che è successo. La persecuzione spinge spesso al settarismo. L’esempio di queste elezioni turche andrebbe considerato premurosamente dalla sinistra italiana, prima che il suo gratuito settarismo elettorale venga ingrassato da una persecuzione.

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