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Bastano due minuti per essere conteggiati come spettatori?

Mariarosa Mancuso

Scorrendo la classifica dei titoli più visti su Netflix nel 2019 nessuno ha obiettato che così poco, di un film o di una serie, capita di guardarlo anche per sbaglio

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Suvvia, confessate che è uno scherzo. In anticipo sull’aprile con i suoi pesci. Netflix che di solito rifugge dagli indici di ascolto – o da qualsiasi strumento atto a conteggiare quanti abbonati hanno visto quel titolo o quell’altro – ha reso nota la classifica del 2019. In cima a tutti, molto prima di “The Irishman” che sta al quinto posto, troviamo “Murder Mystery”, con Jennifer Aniston e Adam Sandler. Segue a ruota la terza stagione di “Stranger Things”: la serie ha il suo fascino, potremmo scriverci un saggetto sopra, ma l’entusiasmo sta da un’altra parte.

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Suvvia, confessate che è uno scherzo. In anticipo sull’aprile con i suoi pesci. Netflix che di solito rifugge dagli indici di ascolto – o da qualsiasi strumento atto a conteggiare quanti abbonati hanno visto quel titolo o quell’altro – ha reso nota la classifica del 2019. In cima a tutti, molto prima di “The Irishman” che sta al quinto posto, troviamo “Murder Mystery”, con Jennifer Aniston e Adam Sandler. Segue a ruota la terza stagione di “Stranger Things”: la serie ha il suo fascino, potremmo scriverci un saggetto sopra, ma l’entusiasmo sta da un’altra parte.

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Non riportiamo i dati per sindacare sulle scelte. Il film-campione si lascia vedere, e per Adam Sandler avevamo un debole già prima di vedere lo scatenato “Uncut Gems” dei fratelli Safdie, che lo tolgono dal girone dei comici per collocarlo tra gli attori da premio. Ma cosa vuol dire, in questo caso, “visto”? Nielsen, per esempio, calcolava come “spettatori di Martin Scorsese” (17 milioni negli Stati Uniti, 26 milioni nel mondo, parliamo solo della prima settimana) chi aveva visto almeno il 70 per cento del film. Nessun regista farebbe salti di gioia per il metro di misura, ma è sempre meglio del minimo richiesto per essere considerati “spettatori” da Netflix. Due minuti. Proprio “due minuti”, non abbiamo sbagliato a scrivere. Hanno anche il coraggio di dichiararlo. E nessuno ha obiettato che due minuti, di un film o di una serie, capita di guardarli anche per sbaglio. Se invece guardiamo per due minuti soltanto un film o una serie scelta da noi, è assai probabile che l’impatto non sia stato incoraggiante. È altrettanto probabile che non ci siano piaciute le cose che molliamo dopo venti minuti, ritrovandoci conteggiati comunque tra gli spettatori.

 

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Netflix ha il suo modello di business, i titoli nuovi aggiunti di continuo servono per conquistare abbonati. Che siano apprezzati oppure no, importa poco (funziona come l’abbonamento annuale alla palestra fatto con lo sconto prima dell’estate, nessuno lo sfrutta mai dopo settembre). Non ci siamo ancora ripresi dalla rivelazione dei due minuti, e troviamo un’intervista a David Kosse, capo della International Film Strategy, con mandato di produrre film in lingue diverse dall’inglese (il 50 per cento degli abbonati prima o poi vede qualcosa nella propria lingua, si spera per più di due minuti). David Kosse si fa paladino dei film indipendenti. Non più finanziati in base agli spettatori e ai mercati potenziali, ma in base al loro valore intrinseco. Film mai girati prima, sostiene. Frase da brividi, al pari dei registi che annunciano il disprezzo di ogni regola. Leggiamo allora titoli e trame, per esempio di “Transatlantic 473”. Un aereo diretto a New York viene dirottato, i terroristi devono vedersela con una madre che difende il figlio, dotata di poteri sovrumani. E capiamo subito perché due minuti bastano per essere conteggiati come spettatori.

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