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il libro

A Manchester con gli Smiths per indagare l’anima di una città leggendaria

Giacomo Giossi

Un viaggio in occasione dei quarant'anni dello storico gruppo e una città che fu operaia, ma che conserva tutt’ora la medesima durezza e la medesima dignità: scorciatoie per la contemporaneità non sembra averne cercate. Qui, nonostante tutto, la musica ha offerto riparo

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Gli anniversari, oltre che obbligare il nostro tempo a una perenne malinconia, sono per lo meno utili a riportarci fuori da un ossessivo e obbligato presente. Ogni anno porta con sé il suo carico di malinconie, nostalgie e passati più o meno gloriosi e tra questi non potevano mancare (nel 2022) i quarant’anni dalla fondazione degli Smiths, forse il gruppo che più di ogni altro ha innovato radicalmente il sound britpop. Impossibile raccontare di quale materia e di quale trama è fatta la band capitanata da Steven Patrick Morrissey, o più semplicemente Morrissey se non si parte dalla città di origine, quella Manchester che oltre a dare corpo a una leggenda calcistica è stata anche il luogo di battesimo per band come i Durrutti Column, Joy Divsion e ovviamente gli Oasis che hanno segnato (alterchi tra i fratelli Gallagher compresi) la musica degli anni Novanta. Per raccontare gli Smiths, Giuseppina Borghese ha così raggiunto Manchester partendo però da Messina.

 

A Manchester con gli Smiths (Giulio Perrone editore, 158 pp., 15 euro) si apre infatti con una fuga da Messina, città d’origine dell’autrice che in un afoso luglio del 2006 raggiunge Roma con l’obiettivo (più che altro una speranza) di diventare collaboratrice di una rivista musicale. Quell’estate non si rivelerà il momento migliore per una collaborazione giornalistica, ma la vocazione della giovane Borghese verrà tutelata dall’incontro casuale proprio con l’idolo della propria adolescenza, quel Morrissey che avrebbe segnato la sua vita e quella di qualche milione di persone nel mondo. Il Mozy Army Meet, uno dei più importanti raduni dei fans di Morrisey e degli Smiths, diviene così la scusa ideale per raggiungere Manchester in attesa dell’esplosione del quarantennale. Giuseppina Borghese attraversa la città inglese con un misto continuo di incanto e disincanto, Manchester si rivela una città certamente non per turisti (come ormai ne restano pochissime) e quindi priva di patetiche messe in scena o pudori insensati come spesso avviene in luoghi un tempo deputati al lavoro e oggi resi proni al turismo più invasivo e sprezzante. Quella che Borghese ritrae è una Manchester che fu operaia, ma che conserva tutt’ora la medesima durezza e la medesima dignità: scorciatoie per la contemporaneità l’antica Mancunia non sembra averne cercate negli ultimi quarant’anni. 

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Giuseppina Borghese accompagna il lettore in un tempo altro, quasi sospeso, in cui tutto quello che è stato si rivela tra i margini e i pertugi di una città che a muso duro offre – a chi ne ha pazienza – una verità ancora tutta novecentesca. Quattro sono i viaggi che Giuseppina Borghese compie in direzione Manchester: un’andata e ritorno che trasforma la città da meta di destinazione a luogo d’origine. L’insieme in cui si mischiano i riferimenti culturali e musicali con la storia personale dell’autrice si amalgamano sui muri della città offrendo al lettore un luogo dell’immaginario possibile e concreto. A Manchester con gli Smiths è sia una guida, reale e concreta, della Manchester di oggi e di un concerto celebrativo, sia il racconto della forza ostinata della memoria culturale che tiene in vita una città generando un sistema  capace di rivelarsi in visioni più reali del reale e donando ai luoghi un’anima inviolabile anche ad anni (e secoli in alcuni casi) di distanza. Manchester dunque come la città in cui, nonostante tutto, nonostante la fatica e la durezza, la musica ha offerto riparo e risalto e anche uno spazio inedito nella memoria del mondo, là dove il clima sembrava offrire solo una temperatura buona per il sudore del lavoro e non del ballo.

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