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Non solo rime

Massimo Pericolo dimostra che solo la fratellanza è l’antidoto alla paura

Stefano Pistolini

Uno spontaneo flusso di ricordi e riflessioni, intervallati da una straordinaria messe di fotografie, da materiali iconografici istantanei e intimi. Il sorprendente exploit letterario del rapper ventinovenne con “Il signore del Bosco"

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"Eventi”, “serate”, “live”, i complicati rapporti con gli altri rapper, i pezzi che escono, poco alla volta farsi un pubblico. Venir fuori, soprattutto, perché tanti altri invece no, si vede che non ce la fanno, perché il talento e la costanza non sono quelli giusti. 18 anni, 19, 20, le cose della vita, gli errori. E i mostri: la confusione, la depressione, la rabbia che perseguita. Ma la scelta ormai è fatta, attentamente coltivata, si è ramificata fino a diventare un sistema complesso, di cui solo chi ne è protagonista ha piena contezza, una specie di febbre, anche se non riesce a essere eloquente al riguardo. Non fosse che sembra sempre tutto andare storto, la famiglia si è dissolta, tua madre è una scialuppa alla deriva in mezzo al mare, la scuola fa pensare a un cimitero e i lavori che trovi fanno schifo. Solo la musica resiste, e vale. Le rime, i contest, il palco. Il sogno. E la brutta realtà.

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"Eventi”, “serate”, “live”, i complicati rapporti con gli altri rapper, i pezzi che escono, poco alla volta farsi un pubblico. Venir fuori, soprattutto, perché tanti altri invece no, si vede che non ce la fanno, perché il talento e la costanza non sono quelli giusti. 18 anni, 19, 20, le cose della vita, gli errori. E i mostri: la confusione, la depressione, la rabbia che perseguita. Ma la scelta ormai è fatta, attentamente coltivata, si è ramificata fino a diventare un sistema complesso, di cui solo chi ne è protagonista ha piena contezza, una specie di febbre, anche se non riesce a essere eloquente al riguardo. Non fosse che sembra sempre tutto andare storto, la famiglia si è dissolta, tua madre è una scialuppa alla deriva in mezzo al mare, la scuola fa pensare a un cimitero e i lavori che trovi fanno schifo. Solo la musica resiste, e vale. Le rime, i contest, il palco. Il sogno. E la brutta realtà.

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È quanto si legge nella parte introduttiva e più schiettamente biografica de “Il signore del Bosco” (Rizzoli, 216 pp., 18 euro), il sorprendente exploit editoriale scritto e voluto da Massimo Pericolo, stimato rapper ventinovenne con un seguito grande e fedele, forse convinto da qualche professionista dei consumi giovanili a condividere – per una casa editrice tradizionale – la sua storia senza filtri, raccontata in uno spontaneo flusso di ricordi e riflessioni, intervallati da una straordinaria messe di fotografie e materiali iconografici istantanei, intimi – perlopiù roba estratta dai cellulari dell’artista e dei suoi amici. È una lettura inaspettata, tanto più nel grande formato in cui si presenta, da tavolo, con quella carta pesante che le si è attribuito. Ma è soprattutto un sorprendente esperimento narrativo, dopo che da qualche tempo – sono due gli album ufficiali che Massimo Pericolo ha al suo attivo, entrambi densi, acuti, intransigenti e poetici – c’è attenzione attorno alla musica di questo rapper, inizialmente salito alle cronache per i motivi sbagliati, ovvero per i guai con la giustizia, la condanna per spaccio, la prigione, gli arresti domiciliari e la descrizione nemmeno tanto sublimata di questa odissea nei suoi primi videoclip.

 

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Qui, nel libro, Alessandro Vannetti – il nome d’arte glielo ha suggerito un telegiornale – isola quei momenti disastrosi nella sua crescita e li attribuisce alla perdita di senso da cui minacciava sempre più spesso d’essere ingoiato. Ma soprattutto racconta dell’altro fuori dal vittimismo e lontano da sbocchi di spacconeria individualistica. Si leva i panni del gangsta di provincia e racconta com’è successo, come, folgorato dal solito film di Eminem (“8 Mile”) che ha fatto più vittime della peste, (lui l’ha guardato una sera con la mamma), ha intravisto la propria strada e l’ha percorsa, tra tante tribolazioni, stop & go e deviazioni pericolose. Ci fa capire come tutto stia nelle persone che hai attorno, quelle che ti accettano e quelle che ti scacciano, sta tutto nella fratellanza, antidoto alla debolezza e alla paura. Ci dice come si è quel che si è, ma non è detto che si riesca a esserlo. Come i soldi nella nostra Italia contino eccome, non per essere ricchi, ma per non essere poveri. E poi, questa è la cosa più intensa, quanto conti ciò che abbiamo attorno, l’ambiente, i luoghi, i suoni e le luci, quanto tutto ciò penetri nel nostro essere, nel carattere della nostra musica.

 

Questo contesto per Massimo Pericolo è la provincia di Varese, dalle parti dell’omonimo lago, una costellazione di paesi industriosi e lunari, dove i colori sono spesso lividi, le personalità introverse, le opportunità compartimentate. Non è Milano, New York o Detroit ma, tanto nei versi di MP come nelle sue pagine, è un posto vero e difficile, ostile e amato, comunque suo, per quanto duro e ingrato. In questo nord qualunque, nasce un artista fragile e caparbio, che rifugge dal diventare un delinquente e capisce che il confine tra bene e male sia meno netto di quanto si creda. Ora che ha successo ed è rispettato, vuole dirci com’è andata, e cosa c’è prima e dietro. Una comunicazione che spiega, più di mille analisi critiche, il significato delle canzoni che arrivano da questo artista e da altri come lui – controversi, a volte disperati e spesso liquidati, quando si ammicca con sopportazione al malessere dell’avere vent’anni sbagliati. 

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