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Le nostre nuvole nell'acquario. Chiacchierata con Frankie Hi-nrg MC

Enrico Cicchetti
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Alla fine, questo dannato 2020 qualcosa di buono l'ha portato. L'ultimo disco di Frankie Hi-nrg MC è di sei anni fa. Poi quest'estate è uscito un nuovo singolo del rapper torinese. Che il 20 novembre ne ha sfornato un altro; Nuvole. Un brano che più “fatto in casa” non si può: il pezzo è nato in pieno lockdown, e parla di isolamento e paura. Prodotto a distanza tra Cremona, dove vive lui, e la Città di Castello del producer Leo "Fresco" Beccafichi, sul giro di basso di Saturnino e ringalluzzito dallo scratch di Dj Stile, storico turntablist con cui Frankie – al secolo Francesco Di Gesù – registrò il primo album nel 1993. Anche il video – una rincorsa al contrario, claustrofobica e accelerata – l'ha girato in autonomia, con una GoPro tra le stanze di casa e le ombre di una cantina.

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Non sto pensando a un album, per ora voglio fare singoli. Quando ce ne saranno abbastanza diventeranno una raccolta, come facevano una volta Gianni Morandi o Caterina Caselli”, dice Frankie al Foglio. Mentre i rapper di oggi sfornano un pezzo al mese, lui, colonna portante dell'hip hop italiano, si prende il suo tempo. Riflette parecchio e scrive, anche se non resta mai con le mani in mano: in questi sei anni ha fatto una mostra fotografica di enorme successo, ha scritto insieme a Marco Paolini un oratorio con musica per un’orchestra di 84 elementi, ha condotto un documentario su Gianni Rodari, ha pubblicato un libro ed è a metà del suo primo romanzo di fiction, “arenato causa Covid”, ammette. Insomma, viene quasi il dubbio che ci volesse questa crisi per fargli riprendere in mano il microfono. “Al contrario, scrivere Nuvole mi ha sbloccato, mi ha permesso di fare chiarezza con me stesso”, ribatte Frankie. “A fine marzo 'Fresco' mi ha mandato una base. Ma avevo la testa solo sulle notizie, la mia colonna sonora quotidiana erano le 30, 40 ambulanze che giorno e notte sfrecciavano ululando per Cremona. È pericoloso scrivere di sé nei momenti difficili, significa mettersi in gioco. Così ho deciso di buttare giù tutto quello che stavo vivendo”.

 

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E così ha “buttato giù” roba come: “Mentre sto cercando un testo / trovo parole appuntate e matite spuntate / brandelli d’estati passate date per scontate / essere liberi non ha un prezzo calcolabile / né quando ce l’hai né quando la stai per perdere / sto per piovere / altre lacrime bagnano pagine ancora da scrivere / guardo il foglio e vedo solo nuvole”. Rime che sono un esorcismo, sostiene, contro la paura del buio che ci ha avvolti. “Certo, ora ci manca tutto, anche la penombra in cui eravamo prima. In questa caduta non c'è tempo per fermarsi e fare abituare gli occhi all'oscurità. Ma se si riesce a farlo, allora si colgono delle piccole scintille, che sono quelle che ci guideranno fuori da qui”.

     

Noi / dentro acquari asciutti che galleggiano fuori vedo il mare / in bocca solo polvere”, recita il nuovo brano. “In un istante, seppure per l'esigenza sacrosanta di tutelare la salute pubblica, non abbiamo più potuto andare oltre i cento metri dalla nostra abitazione”, ricorda Frankie. “L'universo finiva dove iniziavano le pareti di casa. Anche il campanello non serviva più, nessuno ti veniva a trovare, vedevi tutto filtrato da un vetro, come in un acquario: le finestre di casa, o lo schermo di un computer e di un cellulare. La presa di coscienza di non avere più libertà è stata traumatizzante, per quanto non fosse per il capriccio di un qualche dittatore, ma appunto per ragioni validissime”.

 

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Ha parlato di acquari anche un'altra volta, Francesco. Sui social, nel momento disarmante in cui sua suocera, ricoverata in una Rsa lombarda, stava morendo di solitudine. Quella volta l'acquario a lui sembrava la soluzione perfetta per evitarlo: “Anna era un fuochetto d'artificio”, dice. “Per tutta la vita aveva gestito il bar di paese a San Martino in Beliseto. Era affetta da demenza senile ma riceveva molte visite al giorno, stava bene. Con il lockdown e l'impossibilità di vedersi, nonostante la buona volontà degli operatori che le prestavano i cellulari per chiamarci, ha iniziato a peggiorare”. E allora ecco che l'acquario diventa un'idea, una soluzione. “E' stata fatta una cosa semplice e geniale: noi in giardino e i nostri cari al sicuro dietro una finestra. Ti puoi vedere e parlare per telefono, per ore. L'avremmo fatto anche con il freddo, giuro: sarebbe bastato un cappotto e un ombrello. Ma poi nel dpcm è stato inserito il divieto di visite se non in caso di pericolo di vita per gli ospiti delle Rsa. Senza contatti Anna si deprimeva, rifiutava il cibo e si lasciava morire. A quel punto i figli potevano andarla a trovare, alla sera lei riprendeva a mangiare e così le visite si interrompevano di nuovo. A farla morire, senza nemmeno essere sfiorata da Covid, alla fine è stata l'incapacità di comprendere che il contatto umano è un bisogno primario, come mangiare, bere, andare di corpo. Sembrava di rivivere I Viaggiatori della sera, quel film con Tognazzi e Vanoni, di una bellezza straziante, dove in un mondo crepuscolare il futuribile 'Esercito della Salute Pubblica' regala agli anziani una crociera dalla quale nessuno tornerà mai, separandoli dai propri affetti. Qual è la logica di fare digiuno di una cosa fondamentale come il contatto?”

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Una crisi collettiva come questa pandemia richiama all'esigenza fondamentale di solidarietà, di “fare cordata”, come la definisce Frankie. “Occorre prendersi per mano per diradare quelle nuvole che abbiamo in testa. Internet è una proiezione della nostra società e rende bene l'idea di cosa siamo: siamo nodi di una architettura peer to peer. Purtroppo, come internet, anche il mondo reale ha una faccia oscura: c'è chi nega l'esistenza del virus, chi rivendica il diritto a non aiutarsi. Il nostro appartamento in lockdown è stato un punto di osservazione privilegiato sulle magagne dei nostri modelli culturali. Qualcuno è cambiato in meglio, altri si sono arroccati nell'assolutismo delle proprie opinioni. Talvolta, chiudersi non è una difesa ma un attacco: ci si rintana in un carro armato, non in una casetta. Ma qui non c'è più un 'Si salvi chi può': dobbiamo salvarci tutti e, una volta che saremo fuori dalla crisi, voglio che ci siano anche loro, che ci siano anche le idee con le quali scontrarsi. Perché, appunto, questa è una cordata. E persa una stretta le si perdono tutte”.

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Nel 1997, con Quelli che benpensano, Frankie ha realizzato un caposaldo dell'hip-hop italiano e “un documentario sulla vita in provincia. Con Nuvole – dice – racconto la vita in un appartamento. Il drone che volava sul mio terrazzo, che si fermava su di noi mentre fumavamo una sigaretta, sull'amica che prendeva il sole in costume, manco fosse Brazil di Terry Gilliam o una puntata di Black Mirror. Uno strumento di guerra nel centro storico delle nostre città. Ho appeso a quel drone tutti i vaffanculo che non avevo sfogato prima. Ma non ho mai voluto essere nei panni degli amministratori pubblici, non avrei voluto sostituirmi nemmeno a quelli che critico per la malizia e la sciatteria che ferisce e uccide. La pandemia ha rivelato anche i nostri aspetti peggiori: l'allarme, lo spirito di überkontrolle che è parte di noi, della storia di questo paese che genera meraviglie o scempi”.

  

Nel video di Nuvole, l'unico momento di respiro lo danno le immagini in esterno che accompagnano il refrain, realizzate con la collaborazione del team di Gaetano Morbioli: la velocità si arresta di colpo e, fra carrellate e primi piani, scorrono lenti gli sguardi di giovani silenziosi, immersi nell’atmosfera sospesa di una periferia urbana. “Stiamo dando loro le chiavi di un mondo che abbia trascurato. Se uno ha cinquant'anni e non ha figli la relazione col mondo giovanile passa tramite alcuni ambasciatori: gli scambi sui social, ma ancora di più i figli degli amici, i loro compagni di scuola. Sono sonde, spioncini attraverso i quali osservare realtà diverse. Trovo che siano molto disciplinati. C'è chi dice che 'se ne fottono' ma lo stesso è vero per molti adulti, che dovrebbero dare loro i modelli di riferimento. Io trovo in loro molti valori. Ho incontrato Lorenzo a Saxa Rubra, operaio ventenne che sembrava un gentiluomo d'altri tempi (ma con l'imbrago per i lavori aerei): “Lei è il rapper? Ci facciamo una foto, sono emozionato” mi ha detto. Ci siamo fatti un selfie e su Instagram mi ha risposto che spera di rivedermi per potermi offrire un caffè. È stato un cucchiaino di grazia. Qualcosa che ci porteremo anche dopo che tutto questo sarà passato”. Piccole scintille per uscire dal buio.

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