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Da Lucio a Dalla

Salvo Toscano

Sono passati quarant’anni dalla trilogia di dischi che trasformò il musicista in paroliere. Dopo di lui, nessuno ci è più riuscito

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Quando Lucio divenne Dalla, l’Italia stava scivolando nel tempo più buio dei suoi Anni di piombo. Un paese agitato della violenza si emozionava al cinema per “Un borghese piccolo piccolo”, in cui la coppia Monicelli-Sordi afferrava i luoghi e le cifre della commedia all’italiana per trascinarli sui sentieri del sangue e della brutalità di quel tempo, trasponendo sul grande schermo il romanzo di Vincenzo Cerami. Le Br sparavano, rossi e neri si combattevano per strada, le manifestazioni di piazza erano state vietate, Giorgiana Masi era morta a maggio, i giudici popolari scappavano dai processi ai brigatisti. Un anno difficile quel 1977, quando la tv italiana divenne a colori e “Carosello” andò in pensione per lasciare posto ai moderni spot. Gli italiani apprendono dai telegiornali ormai a colori il quotidiano bollettino di omicidi, agguati, gambizzazioni, scontri. Ed è nel contesto di questo dramma collettivo che il cantante bolognese matura la svolta decisiva della sua carriera, decidendo dopo anni di collaborazioni, di far da sé, di scrivere da solo i testi delle sue canzoni. Sarà un’illuminazione, che regalerà alla musica italiana un trittico di album che diventeranno capisaldi della storia del pop nostrano. E che consacreranno il mito di Dalla da lì in avanti.

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Quando Lucio divenne Dalla, l’Italia stava scivolando nel tempo più buio dei suoi Anni di piombo. Un paese agitato della violenza si emozionava al cinema per “Un borghese piccolo piccolo”, in cui la coppia Monicelli-Sordi afferrava i luoghi e le cifre della commedia all’italiana per trascinarli sui sentieri del sangue e della brutalità di quel tempo, trasponendo sul grande schermo il romanzo di Vincenzo Cerami. Le Br sparavano, rossi e neri si combattevano per strada, le manifestazioni di piazza erano state vietate, Giorgiana Masi era morta a maggio, i giudici popolari scappavano dai processi ai brigatisti. Un anno difficile quel 1977, quando la tv italiana divenne a colori e “Carosello” andò in pensione per lasciare posto ai moderni spot. Gli italiani apprendono dai telegiornali ormai a colori il quotidiano bollettino di omicidi, agguati, gambizzazioni, scontri. Ed è nel contesto di questo dramma collettivo che il cantante bolognese matura la svolta decisiva della sua carriera, decidendo dopo anni di collaborazioni, di far da sé, di scrivere da solo i testi delle sue canzoni. Sarà un’illuminazione, che regalerà alla musica italiana un trittico di album che diventeranno capisaldi della storia del pop nostrano. E che consacreranno il mito di Dalla da lì in avanti.

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Dopo la collaborazione con Bardotti e Bardazzi, nel 1973 aveva iniziato un sodalizio artistico con il poeta Roberto Roversi. In quegli anni le sue canzoni trovano un perfetto equilibrio tra l’eleganza cantautoriale e la fruibilità universale del pop

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Dopo un lungo periodo di collaborazione con i parolieri Sergio Bardotti e Gianfranco Bardazzi (la splendida “Piazza grande” tra l’altro), Lucio Dalla aveva avviato nel 1973 un sodalizio artistico con il poeta concittadino Roberto Roversi. Il musicista bolognese, trentenne all’epoca, si era così immerso nella canzone d’autore e nell’impegno politico. Quattro anni, tre dischi, il binomio Dalla-Roversi resterà caro ai critici, un po’ meno al pubblico, che da lì a breve scoprirà un nuovo Dalla, meno complesso e più universale. Sono gli anni dei concerti e degli spettacoli nelle fabbriche per gli operai, a un prezzo politico. Sono gli anni di “Anidride solforosa” e di sperimentazioni ardite. Sono anni intensi, ma durano poco. L’intesa tra il musicista e il poeta si incrina nel 1977. Lucio Dalla vuole allargare gli orizzonti della sua musica, non vuole finire soffocato nel cantautorato politico in voga in quegli anni, sente di poter parlare d’altro e ad altri. E nell’estate di quell’anno insanguinato si concede una vacanza alle Tremiti e matura lo strappo. Decide di scrivere lui le parole delle sue canzoni. “Dopo Roversi – racconterà anni dopo – non avrei mai immaginato di poter scrivere testi con altri. Come quando scopi con la Schiffer, a un certo punto lei non c’è più e al suo posto c’è un pastore tedesco”.

   

Il mare delle Tremiti accende in Dalla l’ispirazione per la canzone che darà il titolo al suo nuovo album. Il musicista dimostrerà subito di avere appreso, e tanto, dalla stretta vicinanza col poeta Roversi. I suoi testi appaiono subito potenti, evocativi, traboccano di immagini memorabili. In quell’Italia di violenza e sangue, nasce “Com’è profondo il mare”, che parla, accompagnata da quel celebre fischio malinconico, del “dramma collettivo” del tempo. Lo chiama così Dalla, in un verso della canzone: “Frattanto i pesci, dai quali discendiamo tutti, assistettero curiosi, al dramma collettivo di questo mondo che a loro indubbiamente doveva sembrare cattivo”. Nel disco c’è anche “Disperato Erotico Stomp”, che diventerà un evergreen, con la sua vena (auto)ironica e il suo testo all’epoca così trasgressivo, con chiari riferimenti al sesso orale e all’autoerotismo. L’album è uno straordinario successo ed è carico di canzoni di qualità. “L’osservazione sociale non viene accantonata, ma lo stile è cambiato, c’è più spazio per la musica”, scriverà Paolo Giovinazzi. Sì, la musica vola, trionfa, perché quel Lucio lì è prima di tutto un musicista, un grande musicista, l’unico forse che sul fronte autoriale regge il confronto con quell’altro Lucio, nato a poche centinaia di chilometri di distanza una manciata di ore dopo di lui in quel marzo del 1943 in cui gli astri della musica si congiunsero in modo misterioso e sublime sul Centro Italia. Ma Lucio non è più solo Lucio. E’ diventato Dalla, Dalla l’autore a tutto tondo, che conquisterà l’Italia. Anche con il suo nuovo look, che per anni lo caratterizzerà: mal vestito, occhiali, zucchetto in testa, clarinetto in mano.

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E’ solo l’inizio. E il meglio deve ancora arrivare. In tre anni, tra il 1977 e il 1980, il nuovo Dalla sforna tre Lp che sono un’escalation di qualità e che conterranno praticamente tutti i suoi classici (eccetto l’amatissima “Caruso”, che nascerà anni dopo). La schiera dei fan del cantautore bolognese si allarga enormemente. Le sue canzoni trovano un perfetto equilibrio tra l’eleganza cantautoriale e la fruibilità universale del pop. Il secondo disco tutto suo si chiama “Lucio Dalla” ed è un successo commerciale impressionante.

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“Lucio Dalla” esce nel 1979. In Italia si continua a sparare. Le cronache sono scandite da assalti neofascisti, omicidi delle Brigate rosse, delitti scioccanti come quelli di Giorgio Ambrosoli e Boris Giuliano. Ad agosto Fabrizio De Andrè e Dori Ghezzi vengono rapiti, saranno liberati a dicembre. Dalla sforna in questo contesto il secondo capitolo del suo trittico della maturità. Un successo straordinario: il disco vende mezzo milione di copie in sei mesi. Dentro ci sono i capolavori della sua produzione. “Anna e Marco”, anzi tutto. Accantonata la canzone “politica”, il testo entra nella vita quotidiana. Dalla è maestro nel raccontare i giovani: li osserva, li conosce, li capisce. Gli bastano poche parole per raccontare un’esistenza, un’anima, un mondo. “Marco grosse scarpe, poca carne, Marco cuore in allarme”, canta, e quell’universo di periferia, di balere e sogni a buon mercato si può quasi toccare, su note grandiose. L’arrangiamento della canzone è di Gian Piero Reverberi, che qualche anno prima coi suoi violini aveva irrobustito le ali dei grandiosi ritornelli di Lucio Battisti. Reverberi arrangia anche l’altra canzone più famosa del disco, “L’anno che verrà”. Con quel “Caro amico ti scrivo”, Dalla e il suo zucchetto cantano all’Italia una specie di manifesto che resisterà al tempo. L’amico dell’incipit dovrebbe essere Giuseppe Rossetti, imprigionato per motivazioni politiche. O forse padre Michele Casali, un frate domenicano di Bologna, che rivide con Dalla le parole di quell’utopia in musica, di quel mondo libertario che verrà in cui “si farà l’amore ognuno come gli va” e “anche i preti potranno sposarsi ma soltanto a una certa età”.

Lucio “il buono”, amatissimo a Bologna, è ormai un idolo del pubblico. La sua fama, il suo successo, la venerazione dei fan hanno pochi pari. Tanto che l’Espresso gli dedica una copertina, dal titolo “Ma che ci trovano in quel Dalla?”, cercando di capire, forse con qualche pregiudizio di troppo, quel fenomeno culturale e politico. Mandarono niente meno che Giorgio Bocca a intervistarlo, un colloquio che riletto a distanza d’anni si rivela emblematico dell’approccio sospettoso e in qualche misura impregnato di sufficienza della “cultura” verso la musica popolare che si slegava dai laccioli dell’“impegno”. “La mia è una canzone organizzata che può essere compresa solo da chi ne fruisce – dirà Dalla a Bocca – non da uno come te, non da uno che scrive sull’Espresso”.

  


In quell’Italia di violenza e sangue nasce “Com’è profondo il mare”, che parla del “dramma collettivo” del tempo. Nel 1980 si completa il trittico della maturità del cantautore. Esce “Dalla”, perché basta la parola, ed è un tripudio


 

In quegli anni nasce il sodalizio artistico col Principe. Dalla e Francesco De Gregori girano l’Italia con il loro “Banana Republic”. Li accompagnano signori musicisti, da Ron, in primis, al nucleo che si trasformerà negli Stadio. Il tour (che diventa un disco, sempre con lo zampino del mitico produttore Sandro Colombini) è un successo stratosferico. Per la prima volta, la musica autoriale italiana arriva al grande pubblico negli stadi. Dalla è una star, un marchio, una garanzia.

 

 

E si arriva al 1980. Quarant’anni esatti da oggi. Il trittico della maturità si completa. Esce “Dalla”, basta la parola, ed è un tripudio. Pubblico e critica esaltano il cantautore. Che raggiunge vette altissime. Nel disco c’è “Cara”, forse la sua canzone più bella, che avrebbe dovuto intitolarsi “Dialettica dell’immaginario”. C’è l’evergreen “Futura”, ispirata dalla vista del Muro di Berlino (fumando una sigaretta accanto a Phil Collins, raccontò), un’altra perla che dimostra la capacità di sentire i giovani, le loro angosce, le loro paure e le loro speranze. C’è “Meri Luis”, che era una delle sue canzoni preferite, con quelle storie di quotidianità: “Meri Luis credo che sia la canzone più importante, voglio dire più vera, più autentica”, disse in un’intervista, lodandone la cover di Marco Mengoni. C’è “Balla balla ballerino” e c’è l’intensa “La sera dei miracoli”. A 37 anni, Dalla è arrivato allo zenit della sua maturazione artistica. Il disco sarà un altro straordinario successo commerciale. Un paio di anni dopo, sul culto dei fan per Dalla, Carlo Verdone costruirà la trama della sua commedia “Borotalco”, un omaggio che il cantautore apprezzò dopo aver visto il film (prima, quando vide la locandina in cui il suo nome era sparato a caratteri cubitali, si incazzò di brutto). Verranno altri dischi dopo. Ci sarà il trionfo di “Caruso”, ci sarà la poesia de “Le rondini”, ci saranno i duetti con Gianni Morandi, ci sarà tanto altro fino a quel primo marzo del 2012, quando un infarto fermerà il grande cuore dell’artista bolognese a Montreux, in Svizzera. Ma il trittico della maturità, quei tre gioielli sfornati in sequenza quando Lucio diventò Dalla, resteranno per sempre il meglio del lascito del musicista che si scoprì grande paroliere.

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