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La giusta scelta di far cantare Bocelli al Duomo di Milano

Mario Leone

È un concerto che desidera parlare a tutti sfruttando la notorietà pop del personaggio. Le sterili polemiche e una domanda: esiste oggi in Italia un grande artista capace di parlare alla gente?

Premessa. La voce di Andrea Bocelli, il suo modo di cantare e le operazioni che lo vedono scivolare dal pop alla classica con risultati discutibili in entrambi i generi me lo rendono poco affine. Non mi piacciono le reunion famigliari con duetti padre e figlio e corbellerie di questo tipo, a meno che protagonista sia la famiglia Petrucciani.

 

  

L’arte è vera arte quando si impone senza aggiunte o spiegazioni, in quel silenzio proustiano dove basta una parola in più, un artifizio, una trovata e siamo già altrove, non so dove, sicuramente non nel campo del bello.

  

Negli ultimi giorni il sindaco di Milano Beppe Sala ha annunciato che a Pasqua, nel Duomo vuoto come mai visto prima, il tenore terrà un concerto da solista. Forse accompagnato al pianoforte da qualcuno. Non sono noti i dettagli. Sotto le guglie, solo qualche membro del suo staff e i tecnici per trasmettere l’evento a tutta la nazione. La polemica è servita. Da più parti fiotti di musicisti sdegnati hanno gridato ai tempi bui della cultura italiana. #NonCambieràMaiNulla, perché non invitare un grande artista. E via via gli esempi più disparati. Qualcuno ricorda come all’indomani dell’11 settembre 2001, la New York Philarmonic Orchestra fu protagonista di un concerto gratuito, in memoria delle vittime. Il repertorio scelto il “Requiem tedesco” di Brahms, pagina sublime e complessa. Un abbraccio collettivo che non dimenticasse un certo livello musicale. Insomma, “Il catalogo è questo” e tutte le obiezioni (alcune condivisibili) le trovate in rete e sui social.

  

Eppure oggi far cantare Bocelli è la scelta più giusta. Non potendo, per evidenti ragioni, avere la Filarmonica della Scala con Riccardo Muti sul podio, meglio il cantante toscano. Qualcuno obietterà: “Perché non chiedere al pianista Maurizio Pollini o alla voce di un giovane e talentuosissimo Francesco Meli o al violino di Accardo, al violoncello di Dindo. In Italia i grandi artisti e le grandi voci non mancano”. Vero ma questo concerto però ha un altro fine. Vuole dire alla gente: “Ritornerete a popolare questo Duomo; si può vincere la difficoltà e la menomazione”. È un concerto che desidera parlare a tutti sfruttando la notorietà pop del personaggio. È una specie di ospite sanremese spostato su un altare e portato nelle case di una platea affaticata da una lunga quarantena che non risparmierà le feste comandate. È una questione di riconoscibilità. Un italiano “medio” (senza nessuno senso spregiativo alla parola medio), si identifica di più in quello che rappresenta Boccelli. In questo momento c’è bisogno di sentire famigliarità. Entriamo nel campo del simbolico, come per definizione Treccani “di cosa che non vale per sé, per la sua realtà o entità, ma per ciò che rappresenta”. Il concerto di Bocelli non è sicuramente il meglio della proposta artistica del nostro Paese ma è un’operazione che non potrà causare chissà quale danno culturale. A chi, come me, non interessa Bocelli (il sottoscritto non ha nemmeno la TV in casa) basta solo non accendere il televisore e recuperare un meraviglioso Messiah di Händel diretto da Gardiner.

 

Questa polemica (sterile?) però pone una domanda molto più interessante, alla quale sarebbe interessante rispondere: “Esiste oggi in Italia un grande artista capace di parlare alla gente?”. Pavarotti univa alla bellezza della voce il tratto ruspante e spavaldo, ma ormai non c’è più. Stessa sorte per Claudio Abbado che era forse troppo schivo per agganciare una platea più vasta. Riccardo Muti potrebbe essere questo ponte perché in lui convergono talento musicale e piglio partenopeo. Altri non si vedono. Quello che però si coglie è una frattura tra il grande artista e la gente, affermatasi pariteticamente nei meandri del populismo e dell’intellighenzia, che hanno minato l’idea stessa di Bello che, come diceva Platone è la percepibilità del Buono.