Il fantarapper
La rivoluzione gentile e incendiaria del vincitore di X-Factor: Anastasio, provinciale con il senso dell’universale e della frase
Come Jack London, ha il fiuto da selvaggio, l’intuito ferino. Diversamente da Jack London non va in pezzi
Gli mancano tre esami per laurearsi in Scienze Forestali e Ambientali. E intende darli, superarli, e diventare dottore. Dottore forestale, wow, che titolo! A Jack London sarebbe piaciuto da impazzire, avrebbe studiato anche lui per diventarlo, primo perché nella vita fece qualunque cosa – il pugile, l’assicuratore, il pescatore clandestino di ostriche, il corrispondente di guerra, and so on – e secondo perché nella foresta ambientò uno dei suoi romanzi migliori. Anastasio, come Jack London, ha il fiuto da selvaggio, l’intuito ferino. Diversamente da Jack London non perde il controllo, non va in pezzi, non eccede fino ad ammalarsi e morire di esagerazione e agitazione (va bene, è presto per dirlo, ma c’è anche un dato generazionale e culturale da tenere presente: l’autodistruzione non è più, da tanto tempo ormai, un correlato inevitabile della produzione artistica).
Anastasio ha domato subito la sbornia di X-Factor, che ha vinto negli stessi minuti in cui il suo singolo, “La Fine del Mondo”, diventava disco d’oro, superando quindi le venticinquemila copie vendute, due giovedì fa. Quando Alessandro Cattelan, sul palco del Mediolanum Forum, in diretta su Sky, gli ha consegnato il disco d’oro e immediatamente dopo ha annunciato che la dodicesima edizione di X-Factor l’aveva vinta lui, il cantarep (“Tu sei più cantautore o più rapper?”, gli aveva chiesto Manuel Agnelli: “Entrambi”, aveva risposto lui), s’è sentito il boato del pubblico, s’è vista Naomi, l’altra finalista, una tipa eccezionale, perfetta, capace e disinvolta in tutto, 50 per cento Tina Pica e l’altro 50 per cento Gwen Stefani, che gli saltava addosso e intorno, e poi s’è visto lui, contento e stordito, che diceva: “Questa cosa mi è sfuggita di mano” e “Cazzo, sì, posso dire le parolacce?”, in risposta a Cattelan che gli chiedeva se fosse felice.
Nelle storielle Instagram che ha registrato subito dopo, ha insistito: “’Sta cosa mi è sfuggita di mano, raga”. Intorno a lui c’erano chiasso, e persone, soprattutto maschi, e un’atmosfera simile a quella che si vede in certi spogliatoi, quelli dei calciatori delle squadre che hanno vinto la partita e l’euforia è un colore e un suono. Il calcio per Anastasio è una cosa seria. L’hashtag che non manca mai di inserire, alla fine dei suoi status sui social network, è #forzanapoli, sebbene la generazione a cui appartiene tifi il singolo calciatore e non più la squadra (lo ha raccontato Giorgia Mecca sul Foglio Sportivo: quando Cristiano Ronaldo è passato alla Juve, il Real Madrid ha perso 3,5 milioni di follower, e altrettanti ne hanno acquisiti i profili della Vecchia Signora). Anastasio appartiene a una generazione ritratta e dedotta da numeri e schemi e statistiche che, tutte le volte, finiscono smentite dal particolare, quando si ha la pazienza di afferrare il particolare, di prendere un ragazzetto, dalla massa, e domandargli: e tu come la pensi, come la vedi, che cosa sogni? E’ una generazione che sembra un bug: forse è un bug. Come dicono i nerd: ci sta trollando tutti. Benedetti ragazzi, finalmente! Trollateci ancora, trollateci sempre.
Il 12 dicembre scorso, il Sole 24 Ore ha titolato “Ragazzi italiani non più mammoni” un pezzo sull’ultima indagine di Eurostudent (2016-2018) presentata dal Miur, dove è stato rilevato che gli studenti universitari italiani studiano, viaggiano, lavorano molto di più dei loro coetanei europei. Lo stesso giorno, sul sito di Radio Deejay è spuntato un articolo così intitolato: “Gli under 35 italiani sono i più mammoni d’Europa”. E’ un po’ trollarsi reciproco, tutto un equilibrio sopra il troll.
Sul palco del Forum, Anastasio ha ringraziato Maradona, come Sorrentino quando ritirò l’Oscar per “La Grande bellezza”. E visto che il ragazzo è uno che s’informa, potrebbe essere che il suo sia stato un omaggio e pure una citazione per apparentarsi al fuoriclasse, almeno per una sera, per lo spazio di un momento, di una concessione all’incontrollabile. Una settimana e mezzo dopo è quasi Natale, Anastasio è tornato a casa e non c’è stato giorno che non abbia dovuto abbracciare fan (a dozzine), festeggiarsi, farsi celebrare, offrirsi in ostensione, lasciare che intorno a lui si aggregasse una comunità desiderosa di celebrare, in lui, un talento miracoloso e, insieme, un premio meritato, il compiersi della giustizia. Francesca Milano del Sole 24 Ore ha scritto su Twitter: “Ai vincitori di X- Factor il contratto dovrebbe vietare di tornare nel paese d’origine. Appena rientrato, Anastasio ha dovuto: tagliare una torta col sindaco, cantare dal balcone del liceo, estrarre dal bussolotto i numeri della tombola organizzata in piazza. Salvatelo”. Invece, lo sguardo di Anastasio dice ancora “’Sta cosa m’ è sfuggita di mano”. E non implora soccorso, come la faccia stremata di Woody Allen in certe foto che gli scattarono durante le riprese di “To Rome with love”, quando fu costretto a posare decine di volte tra Renata Polverini e coltivatori diretti con il caciocavallo al collo (dovremmo spedire un paio di quegli scatti a Mia Farrow, insieme a un biglietto: “Si ritiene soddisfatta, adesso? Ha avuto giustizia?”).
Ad Anastasio piacciono i provinciali: lui è uno di loro. Un provinciale con il senso dell’universale e della frase
Ad Anastasio piacciono i provinciali: lui è uno di loro. Un provinciale con il senso dell’universale e della frase. “Il senso della frase è Privilegio poiché, se lo possiedi, permette a una tua bugia di essere, se non creduta, almeno apprezzata. Nel caso, poi, una volta tanto, tu ti decida a dire la verità, quella vera, quella che puzza perché non si lava con gli eufemismi, quella brutta perché non si ritocca né si abbellisce con la chirurgia estetica del ricordo, nel caso tu dica la verità, la verità pelosa, la verità arrapata, se possiedi il senso della frase la verità avrà l’aspetto un po’ puttanesco eppure di classe di una bella menzogna”. Così scrisse Andrea G. Pinketts, che è morto giovedì pomeriggio, a 57 anni, perché la giustizia non esiste e perché di senso della frase si muore – e anche questo lo scrisse lui.
Anastasio è consapevole, nei limiti del possibile (è un ventunenne, l’enzima della consapevolezza ce l’ha ancora solo in potenza), che quello che più di tutto e prima di ogni cosa non controlla è il senso della frase. Il talento che ha con le parole. La facilità con cui le maneggia trasformandole in dipinti, foto, sport estremi, pistole, ricami, incendi, esplosioni. In Anastasio sgorga il potere più potente di tutti: quello delle parole. Lui lo sa fino a un certo punto, come Pinketts non sapeva se con il senso della frase ci si nasca o no, ed è per questo che non s’aspettava di vincere, ma non è per questo che s’andrà a laureare. In questa settimana e mezza che è trascorsa dalla fine di X-Factor, sono stati ufficializzati i nomi di alcuni artisti che parteciperanno a Sanremo. Anastasio non c’è. Ci sarai, ragazzo?, gli hanno chiesto i giornalisti. Risposta: no, non voglio altre competizioni, mi devo laureare il prima possibile.
“I muri cadranno come castelli di carte perché qui la guerra si combatte coi pastelli, affileremo le nostre matite come coltelli”
Di quest’assennatezza e di questo senso della misura e di questa igiene spirituale, nelle storielle Instagram di Anastasio non c’è alcuna traccia. Così come della sobrietà e signoria e preparazione con cui Fedez ha svolto il suo ruolo di giudice di X-Factor non c’è traccia nelle sue storie di Instagram, dove da una parte fa il ragazzetto e, dall’altra, il marito di Chiara Ferragni – “C’era una volta Fedez, un cantante con poco talento, ma poi ha incontrato la propria vocazione: è diventato il marito di Chiara Ferragni”, ha scritto Guia Soncini su Rivista Studio. Solo che Fedez è sempre truccato, e ritoccato, e pensato, e studiato (non per forza da altri e, anche quando lo è da altri, non significa che subisca una manipolazione) che ci risulti riconoscibile o meno, familiare o meno, prevedibile o no. Anastasio, otto anni meno di lui, è spiazzante, a volte irriconoscibile, ma mai e poi mai artefatto. La prima volta che lo abbiamo visto in televisione, su Sky, X-Factor era ancora all’inizio, c’erano le prime puntate, e Cattelan gli aveva domandato come avrebbe definito il suo look e lui aveva risposto: “Trasandato male” e poi era salito sul palco, impacciato da una felpa grigia con il cappuccio e aperta su una t-shirt blu, e aveva cantato, incazzato nero, con gli occhi pieni di Erinni e un’aria addosso che aveva “qualcosa del ferito a morte” (Marco Ciriello, scrittore e giornalista, su Nicola Pugliese, scrittore e giornalista – entrambi napoletani): “Sono stanco delle cose normali, non mi alzo dal letto per le cose normali”, “Sogno il giudizio universale che scoppia in coriandoli su una folla di vandali”. E aveva steso tutti. Poi, una puntata dopo l’altra, ogni settimana, ogni tre giorni e mezzo, ha scritto versi per tutte le cover con cui ha gareggiato: ha messo del suo in Generale di De Gregori (mettici tu altre parole accanto a quelle di De Gregori, se hai il coraggio e, se lo hai, vediamo se non viene fuori una schifezza) e siamo impazziti tutti, pare che abbia apprezzato anche De Gregori; ha cucito versi perfetti, nuovi eppure non invadenti, sui Led Zeppelin, i Pink Floyd, Fossati, Rino Gateano. “Mio fratello è figlio unico e va a dormire ogni notte più stanco e si sveglia ogni giorno più vivo, anche se in faccia ogni giorno è più bianco, lui non ci diventa cattivo, e il mondo vince le sue battaglie ma la guerra l’ha persa in partenza perché per quanto lo tenga in bilico lui cinico non ci diventa”. Quando a “The Wall” dei Pink Floyd ha appiccicato: “Verremo da ogni parte, siate sicuri che i muri cadranno come castelli di carte perché qui la guerra si combatte coi pastelli affileremo le nostre matite come coltelli”, Mara Maionchi ha urlato che aveva sentito di essere tornata ventiseienne (i maghi della parola, a volte, contagiano chi li ascolta e li rendono capaci di dire cose incredibili).
“Ho 21 anni, fuori dallo schermo esisto davvero, penso, mi confronto, cambio opinione, ricerco, studio. Tifo Napoli”
Quel verso di “Stranizza d’amuri” di Battiato che fa “Cu tuttu cca fora c’è a guerra me sento stranizza d’amuri” è Anastasio spiegato bene. La sua poetica è resistenza: niente di quello che c’è fuori – la guerra, la morte, il classismo, lo sfruttamento dell’essere umano, il vecchio che spolpa il giovane – riesce a far sfiorire il fiore. E se resistenza è una parola politicizzata, e forse logora, sostituiamola con impermeabilità, che è più eroica e domestica. Se c’è uno specifico di questa generazione che ama il rap e ascolta la trap e si tatua la faccia oppure niente, non sa scegliere neanche una maglietta buona per farci bella figura sul palco di una trasmissione tv, è l’amore per la coerenza: quello che canti, o scrivi, o ami, detta e istruisce la tua etica, e non è condizionabile, ed è assoluto, ci può anche piovere sopra, ma resta compatto e asciutto. All’impermeabilità Anastasio è ricorso per spiegare, a chi gli chiedeva conto dei suoi like agli status di Salvini, di CasaPound, di Donald Trump, insinuando che facevano di lui un razzista, sovranista, xenofobo, fascista: “Mi sembra importante leggere cosa dice il Presidente degli Stati Uniti”, e se Salvini dice una cosa giusta non ho problemi ad ammetterlo, e questo non significa che sono un salviniano, e quello che condivido non mi identifica. L’identità è personale, come la responsabilità: forse perché, per certi versi, le due cose combaciano. Salmo, che di anni ne ha tredici di più di Anastasio, ed è un rapper di talento gigantesco e mistico, qualche settimana fa ha detto di trovare incomprensibile il fatto che nel suo pubblico ci siano anche dei leghisti. Se ne vergognava un po’, ecco. Anastasio non ha questo tipo di malattia, di snobismo, e le polemiche che gli sono piovute addosso le ha chiuse, dopo aver rilasciato un paio di interviste tendenziose (noiose?), con uno status su Facebook: “Io sono Marco Anastasio, ho 21 anni, ho delle idee, fuori dallo schermo esisto davvero, penso, mi confronto, cambio opinione, ricerco, studio. Tifo Napoli, e, col vostro permesso, me ne tornerei a fare musica”. Fine. Maionchi gli ha detto, all’inizio: tu sei un disturbatore. Alla fine, ha detto a noi: avevo paura di rovinarlo, quindi non gli ho dato nessun consiglio, e lui è arrivato in finale. E noi, turbati dalla sua indipendenza e autarchia, che però non fanno di lui uno smidollato, ma un rivoluzionario incendiario che non distrugge ma crea, fatichiamo ad ammettere che il ragazzo è arte. Non manomissibile.
Intervista a Gabriele Lavia