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Addio a Lando Fiorini il “cantattore“ voce dei vicoli di Roma

Maurizio Stefanini

Aveva 79 anni, romano e romanista, era l'ultimo esempio di cantante che faceva musica tradizionale dopo averla appresa in strada, attraverso i canali della trasmissione orale

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“È stata una corsa nel bene e nel male/ Per ogni gradino un chilo di sale/ E a volte ti lasci alle spalle qualcosa che vale”. È forse “Canterò” la canzone che andrebbe più ricordata, ora che Lando Fiorini ci ha lasciato a 79 anni. Certo, non è la sua interpretazione più famosa.

 

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Al Puff, il suo Cabaret, il pezzo che restava sempre fisso in un menu variato in continuazione era “Cento campane”, con cui poi volle intitolare anche un’antologia su cd che comprendeva ben 100 canzoni. Una brano che, alla fine, non era nemmeno suo: scritto da Fiorenzo Fiorentini e Romolo Grano, sigla finale, nel 1971, del famoso sceneggiato giallo-horror di ambientazione romana “Il segno del comando”.

 

 

Era stata cantata da Nico Tirone, cantante del gruppo beat Nico e i Gabbiani. Ma Fiorini se ne era impadronito fino a farla diventare uno dei suoi più trascinanti biglietti da visita. “Nun se sa mai, ce svejassimo un po’ tutti”, diceva al Puff ogni volta che la eseguiva. D’altronde lui spiegava di non essere un cantautore ma un cantattore: eseguiva canzoni di altri o della tradizione, però poi con la sua interpretazione le trasfigurava.

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Un altro dei suoi cavalli di battaglia era stato “Roma non fa la stupida stasera” di Armando Trovajoli, che ricordava il suo esordio in “Rugantino” di Garinei e Giovannini: anche se in effetti lui là non aveva fatto il protagonista ma il cantastorie, che canta “Ciumachella di Trastevere”. “Barcarolo romano”, “Pupo biondo” e “Ponte Mollo” sono poi legate alla sua partecipazione al Girone Folk dell’ultima edizione di Canzonissima, nel 1974-75: batté tutti i record di votazione, ma poi fu eliminato per un giro di cartoline della Lotteria Italia che fece gridare allo scandalo e contribuì alla chiusura dell’ormai screditato festival.

 

 

Tifosissimo della Roma, aveva anche inciso un “Forza Roma Forza Lupi” che fa parte degli inni giallorossi. Il “rito” del tifoso che va all'Olimpico normalmente prevede “Campo Testaccio”, canzone degli anni '30, all’inizio, la canzone di Fiorini al riscaldamento delle squadre e “Roma” di Venditti quando lo squadre entrano in campo, mentre “Grazie Roma” pure di Venditti va a fine partita.

 

Ma Fiorini è stato questo e tante altre cosa ancora (basti pensare che dal 1963 al 2010 la sua discografia conta 26 album). Nato nel 1938 a Trastevere, Leopoldo Fiorini, questo era il suo vero nome, era appunto cresciuto tra la guerra e la miseria. Ultimo di otto figli, i genitori a un certo punto lo avevano addirittura dato per due anni in affidamento a una famiglia modenese, pur di farlo mangiare. E la madre era poi morta quando lui aveva solo 14 anni. Dato l’addio alla scuola, si era messo a fare il barbiere, il riparatore di biciclette, infine lo scaricatore ai Mercati Generali di via Ostiense. Come Claudio Villa ragazzino che di notte attraversava Roma in bicicletta per andare a vendere bottiglie di Acqua Acetosa a domicilio, anche lui per ingannare la fatica intonava le canzoni tradizionali romane, e anche lui fu notato. Uno che lo invitò a studiare canto fu il suo amico Amedeo Silvestri, cassiere della ditta D'Acunto-Santini. Chi gli diede la spinta per partecipare al Cantagiro fu il giornalista Francesco Saverio Procopio. Dopo Rugantino, nel 1968, aprì il Puff, dove non solo cantava ma faceva anche il cabarettista. Negli anni ’70 e ’80 divenne praticamente onnipresente in tv e nel 1994 partecipò a Sanremo.

 

“Nella vita di Lando Fiorini, un romano che più romano non si può, c’è qualcosa di americano”, scrisse Jaja Fiastri di questo “bel ragazzo moro, simpatico e forte” passato dal cantare canzoni mentre caricava sacchi di frutta e di patate al cantarle di fronte al pubblico di teatri, palchi e tv. Forse un po’ con la puzza sotto al naso, Gianni Borgna nell’aggiornamento che aveva fatto alla classica “Storia della canzone romana” di Giuseppe Micheli lo definì “stornellatore di sicuro talento”, rimproverandogli però di aver “edulcorato e commercializzato” la sua vena musicale con l’andare troppo in giro per Festival, divenendo così “lezioso”. Però erano state proprio quelle partecipazioni a permettergli di far conoscere in tutta Italia quel repertorio che con interpreti più filologici come i pur bravi Sergio Centi o Alvaro Amici sarebbero però rimasto irrimediabilmente confinato al suo ambito locale.

 

Adesso i giornali lo definiscono “ultima grande voce della canzone romana”, e anche questo è e esagerato. Dagli Ardecore a Mannarino o ai ControCorente, la canzone romana è ancora ben viva e conta su interpreti sulla cresta dell’onda. Però è vero che Lando Fiorini resta l’ultimo straordinario esempio di un cantante che faceva musica tradizionale dopo averla appresa in strada, attraverso i canali della trasmissione orale. E proprio per questo la storia della sua vita è tutta racchiusa in “Canterò”: “Rifaccio la strada e rivedo un bambino/ Che sacchi pesanti alzava al mattino/ Pensando a quei sogni lasciati a metà suo cuscino/ Domani non vengo più a scuola signora maestra/ Domani me vado a sudà la mia prima minestra/ E non so perché/ A ogni sacco di fatica ripetevo dentro me/ Canterò canterò e ogni vicolo di Roma sentirà la voce mia/ Canterò canterò Dal Gianicolo a Trastevere provando per la via/ Mentre il sole in mezzo ai pini profumati andava giù/ Ai terrazzi e alle fontane je dicevo Io lo so/ Canterò canterò”.

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