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Tra streaming e hipster, ecco come sopravviverà l'industria musicale italiana

Enrico Cicchetti

Download e cd sono morti. La musica si ascolta online e arriva fino in Cina, ma al negozio è boom di vinili  

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Se nel 2015 il mercato discografico in Italia, spinto dal settore digitale, viveva un piccolo boom, con una crescita del 21 per cento, il 2016 si conferma stabile con un più 0,4 per cento e 149 milioni di fatturato. Le dinamiche del mercato italiano sono evidenziate dai dati rilevati da Deloitte per Fimi, la Federazione dell’industria musicale italiana. A fare da traino è il segmento dello streaming, un trend che si registra in tutto il mondo: gli ultimi dati diffusi da Ifpi a livello globale confermano il sorpasso della musica liquida sul mercato fisico: grazie alla spinta dello streaming, la musica digitale supera il 45 per cento dei ricavi del settore contro il 39 di quella tradizionale. Anche in Italia, dove più della metà del mercato è ancora appannaggio del prodotto fisico, il segno più rilevante delle trasformazioni in corso lo evidenzia la crescita dello streaming musicale, che registra il 30 per cento in più rispetto all'anno precedente. I ricavi dagli abbonamenti – più della metà di tutto il segmento digitale – vedono quasi il 40 per cento di incremento rispetto al 2015 e generano oltre 35 milioni di euro. Un esempio è la pop star inglese Ed Sheeran, che con il suo nuovo album occupa in pratica la top 20 della Official Charts Company la società che cura il rilevamento dei dati di vendita oltremanica e allo stesso tempo cresce del 500 per cento con l’ascolto in streaming. “Lo streaming rispetto al prodotto fisico è mainstream”, spiega al Foglio Enzo Mazza, ceo di Fimi. “Provate a immaginare solo le dimensioni del mercato cinese, un mercato fatto di smartphone e piattaforme di musica nascenti. Per l’industria discografica, nell’èra del cd, la Cina valeva zero: era tutto pirata. Con lo streaming e le piattaforme mobili sta diventando molto appetibile. Solo il 10 per cento varrebbe quasi quanto il mercato mondiale”.

 

“La forte differenza tra i ricavi da video streaming e audio, lascia ancora emergere il tema del value gap con piattaforme come YouTube, sulla quale vengono realizzati miliardi di stream (la piattaforma di video sharing è utilizzata per ascoltare musica dall’89 per cento degli italiani – fonte Ispsos Connect 2016) ma che genera pochissimi centesimi per gli aventi diritto a causa di un baco normativo comunitario”, ha dichiarato Mazza. “Se l’Europa attribuisse una connotazione giuridica univoca per piattaforme come Spotify, Deezer o Youtube i ricavi generati dal video sharing potrebbero anche raddoppiare”. Mazza spiega al Foglio che la direttiva europea sul commercio elettronico aveva creato una serie di regole che nasceva in un’era in cui non esistevano fenomeni come YouTube: “Si voleva evitare che gli intermediari passivi come le telecom, che consentivano il tramite delle informazioni, fossero responsabili per le attività svolte online dai propri utenti. Purtroppo questo modello è stato adottato anche da piattaforme che in realtà sono contenitori di musica, video e materiale che viene caricato sì dagli utenti ma alimentato e condiviso tramite la struttura. Questa è un’anomalia. L'industria discografica doveva scegliere se monetizzare, accettando condizioni al ribasso, oppure fare un’azione giudiziaria infinita per rimuovere continuamente il contenuto”.

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Insomma, se l'ascolto dalle piattaforme streaming come Spotify, Deezer, Apple Music, è in fortissimo aumento rispetto al modello gratuito sostenuto dalla pubblicità, vedi YouTube, resta il problema della concorrenza sleale e della discriminazione remunerativa (value gap) tra quest’ultimo e gli altri servizi. L’aspetto più controverso dell’innovazione riguarda la sostenibilità del modello di business “tipo YouTube”, rispetto alla filiera artistica e produttiva che realizza gli investimenti. “La piattaforma di Google è nostra cliente e favorisce la diffusione di musica ma il profitto che genera è insignificante rispetto a quello che generano altri”, aggiunge Mazza. YouTube, con più di 800 milioni di utenti, stando a quanto ha comunicato nel dicembre scorso Robert Kyncl, chief business officer della piattaforma, genererebbe per l’industria musicale un dollaro per user all’anno, quando Spotify ne produce circa 18. “L’obiettivo è quello di far in modo in sede comunitaria che queste piattaforme siano equiparate alle altre”, spiega Mazza. La proposta è stata accolta dalla Commissione europea ed è adesso all’esame del Parlamento europeo.

 

Un altro segnale significativo della dieta musicale degli italiani in questi ultimi anni è che, mentre la vendita di cd e il download scendono, il vinile sta vivendo una seconda giovinezza: quasi 10 milioni di ricavi, una crescita del 52 per cento e una quota di mercato che in tre anni è passata dal 3 al 6 per cento. “Si sta dimostrando che lo streaming è promozionale al vinile, anche nella fascia dei ‘super-giovani’”, spiega ancora Mazza. “La crescita del supporto antico e dello streaming insieme al calo costante di download e vendite dei cd lo dimostra. Il vinile è un gadget, da mostrare e ascoltare con gli amici. Addirittura Gabbani ha creato il vinile del singolo del brano vincitore a Sanremo”. Un’ulteriore prova, se ce ne fosse bisogno, è il caso di Benji & Fede, al secolo Benjamin Mascolo e Federico Rossi, due giovanissimi modenesi che a partire da video musicali pubblicati su YouTube conquistano il disco di platino per il loro album di debutto 20:05: la certificazione della Superclassifica segna la vendita di 50 mila copie.

“Oltre ai collezionisti che vanno alla ricerca di dischi usati e storici, oggi il mercato ha ricominciato a produrre vinili, soprattutto in edizioni speciali”, spiega al Foglio Alessia Espositi di Fimi. “La promozione e il contatto tra artisti e pubblico, con show case e firma copie, in questo momento crea occasioni importanti che spingono le vendite. Invece di possedere tanti dischi, sembra che il pubblico privilegi un ascolto di prodotti ‘liquidi’, in streaming, ma sia poi disponibile a pagare anche di più per comprare quelli fisici e valorizzare così l’acquisto”.

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