IL FOGLIO DELLA MODA - Contraddizioni

Snob come Soumahoro

Giorgia Motta

Esiste il diritto all’eleganza? Sì, l’importante è non confonderla con lo sfoggio di un logo. Un tempo esisteva anche l’eleganza dei sentimenti. Poi sono arrivati i social e i pianti a favore di popolo

L’essenza dello snobismo è talmente complessa e difficile da codificare che nessuno è giunto nemmeno a un accordo sulla sua etimologia. Acronimo di “Sine nobilitate”, nota posta accanto al nome degli iscritti a Oxford privi di sangue blu, oppure definizione sempre oxfordiana, ma gergale, di ciabattino, con cui gli studenti indicavano gli esclusi dalla loro cerchia, i rozzi, insomma i possibili bullizzati? In diversa misura, siamo tutti snob, come osservava quel vero snob di William Thackeray che al tema avrebbe dedicato il saggio omonimo nel 1848, accordando anche il termine al plurale (“snobs”) e lo stesso hanno fatto decine di scrittori prendendo divertite distanze dalla pratica, cioè e implicitamente confermandola e dichiarandosene vittime.

  

Nessuno, al momento, riesce però a raggiungere le vette di snobismo del deputato di Sinistra Italiana Aboubakar Soumahoro quando afferma il “diritto all’eleganza” di sua moglie Liliane, in odor di truffa ai danni dello stato cioè a noi, che si fotografa fra valigie e borsette Vuitton su Instagram, scambiando cioè lo sfoggio del logo e I segni esteriori della richesse per conquiste di status, come nel più trito dei cliché vanziniani e dello snobismo, che purtroppo conserva sempre il tratto vagamente grossolano, cheesy, dal quale tanto si ingegna a prendere le distanze.

 

Ed era snob, infatti, anche Marcel Proust, di cui quest’anno ricorre il centenario della morte fra una messe di libri, convegni, di inedita più o meno reali. Senza pretendere di riscrivere la “Recherche”, come hanno tentato altri nel più classico transfert autopromozionale, Marina Giusti del Giardino e Paolo Landi si sono divertiti a cercare fra i sette libri dell’opera tutte le frasi, I opassaggi, gli accenni diretti e indiretti in cui compaiono le parole “snob” e “snobismo”, per confrontarle con la grossolanità di certi atteggiamenti imitativi solo apparentemente contemporanei.

   

L’essenza dello snobismo è infatti identica lungo tutto l’arco della storia. Oggi è soltanto più accentuata dal consumo vistoso, ancora il conspicuous consumption di Thorstein Veblen, e dall’overdose di piattaforme social dove, non a caso, si è scoperto che Soumahoro, del tutto ignaro dell’esistenza dell’eleganza dei sentimenti e del ritegno, roba antica, occidentale, forse anche colonialista, è indiscusso maestro: il suo pianto tattico, atto a conquistare il sentimento popolare (tutti ce l’abbiamo col mondo, ma che colpa abbiamo noi) e a sviare l’attenzione dell’inchiesta della magistratura sulle coop di supporto ai migranti gestite dalla suocera, entrerà nella storia della comunicazione politica come un caso da manuale.