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il foglio mobilità

La crisi energetica può essere un'opportunità per migliorare le nostre città

Giovanni Battistuzzi

L’esempio della Danimarca che approfittò della crisi degli anni Settanta per ridisegnare il sistema delle ciclabili collegando il centro alla periferia. In un decennio il traffico si ridusse di un quarto e le auto di un quinto

Che l’aumento del prezzo del carburante colpisca tutti e non solo chi fa il pieno a un’automobile. È qualcosa di noto, c’è una lunga letteratura a riguardo che spiega per filo e per segno il perché e il per come di questo semplice concetto. Basta considerare “l’ultimo miglio” per comprenderne il motivo: le merci arrivano nei luoghi dove le acquistiamo tramite camion e furgoni, per farli muovere ci vuole il carburante, spesso devono fare lunghi tragitti e tutto questo incide in parte su chi le porta, in parte su chi le vende e, soprattutto, su chi le compra. Chi subisce il peso maggiore di questo meccanismo sono le classi meno abbienti. Quando il carburante aumenta, va sempre a finire così: i danni peggiori li subisce sempre chi non ha margine per far quadrare i conti familiari.

Per questo motivo il governo ha ridotto le accise sui carburanti. Tagliare le tasse (che in Italia pesano per il 55 per cento sul costo finale) è senz’altro meritorio, sempre che si dia il via a un taglio anche della spesa statale, perché altrimenti quanto lo stato perde da benzina e diesel, lo fa pagare alla collettività in altro modo e siamo da capo a dodici. Insomma, non cambierebbe niente a parte che il carburante utilizzato da X viene pagato da Y, che magari è la stessa persona, ma anche no.

 

Le crisi energetiche, commentò Poul Hartling – ministro di Stato della Danimarca tra il dicembre del 1973 e il febbraio 1975 – “sono una grandissima seccatura”, perché “si pensa che siano soltanto una questione di petrolio e invece sono l’evidenza che qualcosa non va e bisogna agire per evitare di trovarci ancora una volta impreparati. Perché tanto una nuova crisi arriverà”. Hartling conservatore liberale, era stato messo a guidare il governo con un esecutivo di minoranza, perché riconosciuto da tutti abile a fregarsene degli ideali politici e parlare con tutti per trovare una soluzione di buon senso.

Poul Hartling tra le tante cose che fece per cercare di sistemare il paese ancora succube della crisi petrolifera del 1973, decise che tra i temi da affrontare, e con una certa urgenza, ci fosse quello della mobilità.

Il suo ragionamento era semplice. “Del petrolio non possiamo controllare il prezzo, ma è più o meno indispensabile per molti settori. Visto che non possiamo tagliarlo alle aziende a cui serve, bisogna lavorare per rendere altri settori non succubi dalla variazione del prezzo”. Questo settore era la mobilità. “Siamo di fronte a un ricatto, è ovvio. Vogliamo essere ricattati? O vogliamo essere un paese adulto e mutare le nostre abitudini più stupide per renderci più indipendenti?”.

Finì che la Danimarca decise di essere un paese più indipendente: il parlamento approvò il primo impianto di leggi che iniziò a dare il via alla trasformazioni delle città danesi. Il piano era semplice: disincentivo del trasporto su gomma, potenziamento di quello su rotaia e costruzione di nuove infrastrutture per agevolare gli spostamenti in bicicletta.

Copenaghen aveva appena smantellato il suo sistema di trasporto su rotaia (i lavori erano finiti nel 1972) e cercare di ristabilire la rete dei tram sarebbe stato troppo lungo e costoso. Fu così che il sindaco della capitale danese iniziò a progettare un sistema di ciclabili che garantisse ai quartieri periferici e a tutte le nuove aree suburbane di recente costruzione di muoversi con facilità e in sicurezza verso il centro cittadino. In un decennio il traffico si ridusse di un quarto e le auto di un quinto. L’utilizzo di benzina del 22 per cento e i cittadini di Copenaghen ebbero un incremento della possibilità di spesa media del 9,2 per cento. Molto di più dell’aumento dei prezzi.

 

La guerra in Ucraina ha riportato tutto questo d’attualità.

L’Unione europea importa il 97 per cento del petrolio che consuma e il 25,7 arriva dalla Russia. Il 65 per cento del petrolio è consumato dai trasporti e, in gran parte, da quelli su gomma.

Ogni giorno la Russia guadagna 490 milioni di dollari per le esportazioni di greggio. In un anno i paesi dell’Unione europea (compreso il Regno Unito) versano ai gruppi petroliferi russi 104 miliardi di dollari.

La guerra è alle porte dell’Europa e nella gestione delle guerre la questione energetica assume sempre un certo peso. Lo sanno bene gli americani. Nel 1943 gli Stati Uniti lanciarono una campagna di sensibilizzazione: per le strade, sui manifesti, si leggeva: “Quando viaggi da solo, viaggi con Hitler”. Alla radio il messaggio era lo stesso, ma più diretto: “Vuoi far vincere Hitler? Allora non andare in macchina da solo”.

In Italia ci sono circa 59 milioni di abitanti e 36 milioni di automobili in circolazione che consumano annualmente 31,1 milioni di tonnellate di carburante.

Dire “quando viaggi da solo, viaggi con Putin” non servirebbe.

Servirebbe fare qualcosa per dare la possibilità ai cittadini di muoversi liberamente. Perché c’è circa un 30 per cento di persone che l’automobile la lascerebbero a casa e utilizzerebbero altro: bici, pattini, monopattini. Ma hanno paura. Hanno paura delle automobile, della loro dittatura stradale. In Europa le città stanno cambiando pelle, stanno diventando sempre meno autocentriche. E lì dove è stato introdotto un sistema di ciclabili e pedonalizzazioni il potere di acquisto medio è aumentato (anche la produttività al lavoro, ma questo indipendentemente dalla crisi energetica) e l’aumento dei prezzi si è sentito meno.

Sarebbe il momento di fare qualcosa del genere anche in Italia. Se non ora quando?